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Esistono due motivi per cui le persone non parlano di qualcosa. O perché non significa niente, o perché significa tutto

Era passata poco meno una settimana da quando mio papà mi aveva fatto una ramanzina da Oscar.

Con l'intento di far valere la sua figura da genitore, mi aveva zittito nell'esatto momento in cui avevo cercato di trovare un modo per sfuggire a quel supplizio.

Fui costretta ad ascoltare in completo silenzio un infinito elenco di motivazioni per le quali avrei dovuto renderlo partecipe di quello che stava succedendo nella mia vita. Una delle quali riguardava l'impegno reciproco nel comportarsi come una famiglia.

Mi arresi ben presto a quella tortura e mi accasciai sul divano, aspettando pazientemente che quel suo monologo arrivasse ad una conclusione. Dopotutto, un po' aveva ragione. 

Quando finalmente esaurì ciò che potesse sostenere la sua tesi, mi fece promettere che non avrei più portato a casa un ragazzo senza avvisarlo.   

Nonostante fossi stremata dal suo fiume di parole, mi ritrovai a negoziare le clausole di quel piccolo accordo.

Avrei fatto fede alla sua richiesta se mi avesse permesso di gestire in autonomia quella notizia con la mamma. 

Non volevo venisse a sapere da mio papà che stavo frequentando Mirko. Sarebbe scoppiata una guerra nucleare.

Ero piú che certa che non sarebbe riuscita ad accettare che fosse venuto a conoscenza di quel particolare prima di lei. Volevo limitare i danni. E, proprio per quel motivo, spettava a me metterla al corrente. 

Con nessuna voglia di contrastarmi, se ne tirò fuori con un'alzata di mani e un grande sospiro. Raccomandandosi di farlo al più presto si avvicinò per scoccarmi un bacio sulla fronte e permettermi di raggiungere la mia stanza. 

Avevo tutta l'intenzione di rivelare la verità ad Aurora, aggiornare Luna e Margherita e, infine, presentarlo ufficialmente alla donna che aveva un'opinione su chiunque. Possibilmente in quell'ordine. 

La mia priorità era quella di riuscire a trovare il momento più adatto per aggiornare la mia migliore amica. Mi convinsi che la gita sarebbe potuta essere una buona occasione. 

Peccato non avessi considerato quanto, quei cinque giorni, avrebbero rappresentato un ricordo indelebile nelle nostre vite.

Quell'ulteriore consapevolezza non fece altro che aumentare il mio timore di rovinare tutto. 

Valeva la pena macchiare un ricordo per un segreto che ormai avevo tenuto cosí a lungo?

A distanza di tre giorni da quando eravamo partiti non ero ancora riuscita a trovare una risposta a quella domanda.

Più cercavo il momento adatto per parlarle, più sembrava che mi stesse sfuggendo dalle mani. 

Non esiste un momento adatto. Fallo e basta. 

Continuavo a ripetermelo nella speranza che potesse aiutarmi. 

Avevo perso il conto delle volte in cui mi ero ritrovata con la bocca impastata da una verità che non riuscivo a confessare ad alta voce.

Come se non bastasse, il tempismo dei nostri compagni non era mai stato così pessimo come in quelle settantadue ore. Ad ogni loro interruzione tutte le mie buone intenzioni svanivano nel nulla. Il momento era perso e la mia precaria sicurezza con esso.

Che agonia. 

«Cazzo, Aldegheri», una mano si appoggiò sul mio fianco nello stesso momento in cui quell'imprecazione fischiata mi fece voltare, «ti ho mai detto che hai proprio un fisico pazzesco?».

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora