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Fidati delle coincidenze, sono il sussurro che tradisce il legame tra il possibile e l'inevitabile

Come pianificato, non vi fu alcun compromesso.

Mirko fece la doccia per primo, lasciando successivamente il bagno libero.

Chiusi a chiave la porta per scaramanzia e prevenzione, non riuscendo però ad impedire alla mia mente di elaborare immagini poco consone.

Permisi all'acqua di spazzare via il sudore, mentre la mia inventiva dava maggiore espressione del suo potenziale. 

Uscita alla doccia, mi asciugai in fretta, sentendo la pancia brontolare in segno di reclamo. 

Optai per tamponare i capelli, non avendo alcuna voglia di asciugarli per bene. Purtroppo era un'abitudine. Tendevo a trascurare abbastanza spesso rituali che molte ragazze portavano a termine con rigore. Preferivo ottimizzare i tempi e il mio caschetto lungo, in alcuni casi, aiutava.

Mi occupai di raggruppare le mie cose, portando il borsone nella stanza di Mirko ed appoggiandolo vicino alla scrivania.

Lo raggiunsi in cucina che ancora stava finendo di preparare la cena, ritrovandomi costretta ad assisterlo.

A tempo di una playlist selezionata dal suo cellulare, dopo avergli vietato categoricamente di cantare a squarciagola, ci ritrovammo immersi in un'atmosfera che sembrava urlare quanto fosse rara nella sua banalità.

Cenammo sul bancone parlando del più e del meno. Non ci impegnammo in discorsi seri o filosofici, ci scambiammo semplicemente opinioni e punti di vista su più argomenti. 

Finito di mangiare e sparecchiare, ci dirigemmo nella sua stanza.

Seduta sul suo letto e in attesa che accendesse la PlayStation, mi preparai ad iniziare una vera battaglia per determinare chi fosse il migliore a Rocket League.

Giocammo per un periodo di tempo indeterminato, insultandoci di tanto in tanto e mantenendo lo sguardo fisso davanti a noi.

Eravamo pari quando vinse quello che sarebbe dovuto essere il nostro ultimo faccia a faccia per la vittoria finale. 

«Non vale, stronzo!», mollai il joystick sul materasso e incrociai le braccia al petto. 

Mancava solo che facessi il broncio e, a quel punto, avrei potuto rappresentare una versione di me a sei anni.

Ridacchiò. «Solo perché ti ho battuta?». 

«Certo», andai ad evidenziare, «entrambi sappiamo che questo è il tuo campo. Sarebbe stato un bel gesto far vincere me. Sai, mettendo da parte il tuo orgoglio». 

 «Vuoi dire come hai fatto tu in palestra?». 

Rimasi in silenzio, fulminandolo con lo sguardo. 

Mi pentii di non aver pensato più accuratamente alle mie parole. Inconsapevolmente avevo un favorito quella sua frecciatina. Gliel'avevo servita su un piatto d'oro, altro che d'argento. 

La soddisfazione che gli attraversò gli occhi fu cristallina, e la mia mancata risposta non fece altro che sottolineare come fosse riuscito a zittirmi con astuzia. 

Gongolando nel suo piccolo trionfo personale, si alzò per spegnere la PlayStation. 

«Direi che tutta questa competizione non ti fa bene. Non sai accettare di aver perso...», aggiunse tornando sul letto, «a differenza di altre persone», mise in risalto, sdraiandosi a pancia in su ed incrociando le mani dietro la testa. 

«So accettare le mie sconfitte quando so che la competizione è stata effettuata ad armi pari», mi accurai di specificare, per niente d'accordo con la sua testimonianza, «questa non lo è stata».

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora