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Due cose possono portare alla follia: l'amore e la sua mancanza

Era risaputo che il sesso avesse diversi benefici.

Si diceva rafforzasse il sistema immunitario, riducesse il rischio di malattie cardiache, migliorasse il sonno, limitasse lo stress, aiutasse a bruciare calorie e fosse un efficace rimedio contro mal di testa ed emicranie. 

Purtroppo però creava anche un legame più definito, in bilico fra reale e surreale. Un collegamento intimo che non necessitava di ulteriori spiegazioni.

Non c'era spazio per la ragione e la logica in un qualcosa di così istintivo e con il potere di ridurre a brandelli ogni spiraglio di coerenza.

Preso singolarmente non lo avrei mai reputato un aspetto negativo. Ciò che lo rendeva tale era la distanza che intercorreva fra me e Mirko.

Odiai non riuscire a scrollarmi di dosso la sensazione delle sue mani e della sua bocca sul mio corpo, dell'irruenza e del bisogno in ogni gesto e del senso di completezza che gli brillava negli occhi mentre mi guardava.

Oltretutto la serie di messaggi che ci scambiammo la settimana successiva non aiutarono. 

Non c'era alcun pudore. Nessuna vergogna. Nessun segreto. Ma, in compenso, vi erano circa centocinquanta chilometri a separarci. 

«Dovreste vederlo», ripeté Luna, «è la fine del mondo». 

Durante quella ricreazione non aveva smesso un singolo istante di parlare del nuovo istruttore di nuoto di Jacopo, il più piccolo dei suoi fratelli insieme a Giada.

Margherita sbuffò. «L'hai già detto. Almeno quarantasei volte. Lo sappiamo». 

La bionda la ignorò senza remore. «E vi ho detto che ha degli occhi bellissimi? E che ci sa fare con i bambini? E che ha un sorriso da capogiro?», proseguì con quella sua tipica aria persa. 

«Sì, Luna», commentò Aurora, «ce lo hai detto». 

Sospirò mordendosi distrattamente il labbro inferiore. «È l'uomo della mia vita». 

«È sempre l'uomo della tua vita», intervenni sottolineando un dato di fatto. 

«Questa volta sul serio», brontolò incrociando le braccia al petto. «Riuscirò a conquistarlo», si impuntò.

Da ciò che ci aveva raccontato, non sembrava particolarmente interessato a lei. Tuttavia, conoscendo la ragazza con il cuore fatto di favole e gli occhi dipinti di amore, sapevo che non si sarebbe arresa.

Non fino alla cotta successiva perlomeno. 

Luna era fatta così. Dava tutta sé stessa poiché spinta dalla curiosità, poi si stancava e cercava quell'amore che tanto bramava altrove.

Era un continuo gioco senza fine e nemmeno se ne rendeva conto.

«Hai già pensato a come fare?», domandai reggendole il gioco.  

«Non proprio», borbottò un po' affranta e pensierosa, «ma mi inventerò qualcosa. Sono brava a trovare soluzioni», si riprese. 

Peccato che le sue soluzioni, il più delle volte, non erano destinate a funzionare.

Evitai di dirlo ad alta voce. Avevo la sensazione che se ne sarebbe resa conto da sola.

Lasciammo che continuasse a fantasticare fino al suono della campanella. A quel punto, tornare in aula e sopportare le ultime ore di lezione, fu meno complicato di quanto credessi. 

Arrivata a casa, mangiai velocemente e andai nella mia stanza solo dopo aver bevuto un caffè. Riuscii a concludere buona parte di ciò che dovevo studiare prima dell'allenamento, ripromettendomi che avrei finito più tardi.

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora