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Il mio concetto di Paradiso è fatto di cose per cui si va all'Inferno 

Il mio obiettivo era diventato quello di polverizzarlo, demolendo parte della sua convinzione di essere il migliore.

Percepivo la sfacciata sicurezza nelle sfumature di tempesta delle sue iridi azzurre. Sembrava fossero attraversate da lampi in grado di spezzare la serenità di un cielo terso di una giornata d'estate. 

Mi allontanai per recuperare la palla, non dandogli la soddisfazione di annullare la distanza fra le nostre labbra. 

Iniziai a palleggiare con scioltezza, un po' per diletto, un po' per scaldare nuovamente i muscoli. «Prima di iniziare, vuoi mettere qualche regola?», chiesi facendo alcuni cambi di mano davanti e sotto le gambe.

Scosse la testa. «No, nessuna», ammiccò con l'aria di chi sapeva cosa stava facendo, «tutto è concesso».

«Che vinca il migliore», sorrisi e passai all'azione.

L'ultima volta che Mirko mi aveva vista giocare era stato quando avevo a malapena sedici anni e, da allora, le mie capacità erano decisamente migliorate. Non per nulla, quell'anno, ero stata selezionata come playmaker .

Si trattava di uno dei cinque ruoli della pallacanestro e doveva essere ricoperto da una persona con buon punto di vista tecnico, precisione nei passaggi e a canestro.

Quella sera volevo principalmente puntare su sull'aspetto, sfruttando gli insegnamenti del coach per smarcarmi e contrastare Mirko.

Fortunatamente, le svariate ore di allenamento settimanali ebbero la meglio persino sull'agilità del ragazzo che avevo tutta l'intenzione di battere.

Non avrei mai accettato di perdere. Non nel mio campo. Non contro di lui.

Riuscii a fare tre punti consecutivi, di cui l'ultimo fu la perfetta conclusione di un tiro in sospensione.

Il primo indumento che se ne andò furono le calze, seguite a ruota dalla felpa bianca e la maglia a maniche corte che indossava sotto. 

Mi complimentai mentalmente per quel risultato e persino per la sua folle idea. Stava iniziando a diventare divertente. E piuttosto accattivante. 

«A quanto pare qualcuno è in svantaggio», canticchiai gustandomi la visuale. 

Mirko non aveva uno di quei fisici scolpiti a regola d'arte, pompati e fin troppo esagerati. Era solo ben chiaro che avesse una buona cura del proprio corpo e che ci tenesse. Gli addominali erano abbastanza marcati da far sospirare incantati, ma non così tanto da avere linee più definite di una scultura. 

Con solo un paio di jeans addosso, a piedi e petto nudi, con i capelli leggermente umidi per il sudore e gli occhi colmi di determinazione, rappresentava uno spettacolo degno di nota.

Mi chiesi come fosse possibile apparire attraenti anche con il fiato corto.

A quel punto della serata, dopo un'ora e mezza di allenamento e ormai più di dieci minuti di gioco senza interruzioni prolungate, sapevo che il mio aspetto era tutt'altro che accettabile.

Sentivo i ciuffi di capelli sfuggiti alla coda appiccicati sul viso, ero certa di avere un colorito più acceso del normale e la mia tenuta sportiva, composta da una maglia di tre taglie più grande e un paio di pantaloncini al ginocchio, creavano la ricetta perfetta per l'anti sesso.

«Solo per ora», affermò prima di rubarmi la palla con uno scatto che non mi aspettavo.

Malgrado i miei tentativi per raggiungerlo non riuscii ad evitare che tirasse e facesse centro.

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora