Mettiamo da parte le nostre paure e corriamo il rischio di essere felici
Con il cuore ridotto ad un ammasso sconnesso di schegge, mi ripetei mentalmente che avrei dovuto dimenticare.
Dimenticare quello che provavo, quello che avevamo condiviso, quello che avremmo potuto avere se solo lo avessimo afferrato in tempo.
Dovevo cancellare le parole sussurrate, le dichiarazioni fatti di gesti, le sfide continue, il mio nome ad accarezzargli la bocca, le giornate insieme, le sue mani che tracciavano una mappa di brividi sul mio corpo, le conversazioni senza filtri, le notti passate a ridere su un letto sfatto.
Non mi importa.
Non mi importa.
Non mi importa.
Bugiarda.
Mirko sarebbe sempre stato quel non mi importa di cui mi importava fino a farmi mancare il respiro.
Era un mormorio costante, la variabile che non avevo preso in conto, la dimostrazione che l'amore non derivava da alcuna scienza esatta.
Ero fottuta.
Fottuta a tal punto da immaginare la sua voce che mi richiamava mentre camminavo lungo il vialetto.
Fu solo quando mi strinse il polso, facendomi voltare di scatto, che mi resi conto non si trattava di una fantasia.
Mi afferrò dal retro della nuca e mi attirò alle sue labbra in un gesto che mi lasciò completamente senza fiato.
Spalancai gli occhi per lo stupore, le guance che andavano a fuoco e il suo tocco che sembrava poter rimettere ogni pezzo al suo posto.
Quando si allontanò, tenne la fronte appoggiata alla mia mentre le sue mani mi circondarono il viso.
«Se mi avessi fatto finire di parlare, ti avrei detto che non credo di riuscire ad odiarti», il tono basso e roco mi fece rabbrividire, «nemmeno se me lo chiedessi in ginocchio».
Sbattei le palpebre e cercai di rielaborare le sue parole. Volevo avessero un solo significato e speravo di non sbagliarmi. Non quella volta.
Mi aggrappai alle sue braccia, le unghie che graffiavano il tessuto della camicia. «Questo vuol dire che...», non ebbi il coraggio di finire la frase.
Aumentò la distanza, lo sguardo puntato sulle mie labbra. «Vuol dire che sei un dannatissimo tormento», le accarezzò con il pollice, memorizzandone la forma, «perchè mi basta un tuo sorriso per perdere la ragione, figuriamoci vederti abbassare ogni possibile difesa in questo modo».
Mi sfiorò l'ombra delle lacrime che mi avevano bagnato le guance e mi fece alzare il mento.
«E, cazzo, nonostante tutto, rimarrai sempre la mia uragano», marcò, il fiato caldo a solleticarmi la pelle. «Quindi voglio sbagliare insieme a te per poi ricominciare da capo», si abbassò fino a fondere il suo respiro con il mio.
«Promesso?», la mia voce era ridotta ad un sussurro.
Annuì. «Promesso».
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Baciami ancora
RomanceNell'universo esistono persone che sono ammaliate da favole romanzate, storie strappalacrime e zuccherosi nomignoli sussurrati sotto le coperte. Altre, invece, che considerano tutto ciò come qualcosa dal quale stare alla larga. Arianna non era mai s...