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Tu sei un minuto di quiete in un mondo che fa troppo rumore

Il rientro dalla gita mi distrusse. 

A Dublino il tempo sembrava essersi fermato, la leggerezza delle giornate aveva aiutato a liberare la mente e le responsabilità erano state accantonate. 

A Verona invece nulla era cambiato.

Da lì poco avremmo dovuto affrontare la maturità, non avevo ancora rivelato ad Aurora che frequentavo suo fratello e la sensazione che tutto sarebbe andato male si faceva di secondo in secondo sempre più vivida. 

Anche negli attimi di assoluta calma, il cuore mi batteva nel petto come ad urlarmi di smettere di pensare troppo. Eppure il cervello bloccava ogni inibizione. Mi sentivo in trappola. Rinchiusa in una gabbia d'oro che io stessa avevo costruito. 

Quello che ancora non sapevo era quanto quella gabbia fosse fragile, una foglia secca che stava per essere calpestata e portata via dal vento. 

«Non ce la posso fare ad arrivare alla fine della giornata», si lamentò Aurora non appena suonò la campanella della ricreazione, «ho troppo sonno».

Eravamo appena tornate a scuola e i professori non avevano perso un solo istante per programmare verifiche ed interrogazioni.

La scusante era sempre la stessa. Dovevano finire il programma e avere voti per gli scrutini finali. 

Tuttavia avevo l'impressione che Aurora non fosse a pezzi per quel motivo.

«Qualcosa mi dice che Elia c'entra», la punzecchiai. 

La loro relazione stava diventando di giorno in giorno sempre più stabile. Non solo si supportavano a vicenda, ma si sforzavano di trovare punti d'incontro.

Nelle loro imperfezioni avevano trovato l'incastro perfetto. 

«Ha dormito da me», borbottò. 

«Certo, ha dormito da te», la presi in giro. 

Le sue guance si tinsero di un rosa più acceso. «Abbiamo seriamente dormito». 

La osservai con le sopracciglia alzate. «Un'ora?». 

«Due», sussurrò come se non volesse ammettere che avevo ragione. «Però domani parte, dovevamo sfruttare il tempo a disposizione», alzò le spalle. 

Elia, insieme a Nicolò e Alessandro, era stato abbinato alla classe di Luna e Margherita per la gita. Sarebbero stati gli ultimi all'interno della scuola a partire.

«Considerando il tuo aspetto, direi che l'avete sfruttato piuttosto bene», le feci un occhiolino e le sorrisi allusiva. «Ce la fai ancora a camminare?». 

Appallottolò un foglio che aveva sul banco e me lo lanciò. «Cretina». 

Metterla in imbarazzo era fin troppo semplice. Soprattutto perchè il suo fidanzato era una delle pochissime persone alle quali mostrava il suo lato più sfacciato. 

Risi scuotendo la testa. «Forza», la incitai facendola alzare dalla sedia, «andiamo a prendere un caffè». 

Uscimmo dall'aula immergendoci nel caos dei corridoi.

Nonostante vi fosse sempre qualcuno in preda al panico, durante la ricreazione tutti sembravano riprendere vita. Era come se quel breve quarto d'ora potesse cambiare le sorti della giornata. 

Scendemmo di un piano e ci mettemmo in coda alla macchinetta. Ci volle un'eternità prima che toccasse a noi e la temperatura del caffè sembrava voler sfidare quella del sole. 

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora