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Il modo migliore di amare è quello di rendersi conto che ogni cosa può essere persa

Non avevo mai preso in considerazione quanto, talvolta, potesse essere complicato scrivere un banale messaggio.

Perchè un'azione così comune era in grado di risultare altrettanto ardua? Secondo quale oscura logica non riuscivo a trovare soddisfazione in nessuno dei termini che conoscevo?

Scrivere a Mirko non aveva mai rappresentato un ostacolo. Non prima di allora, perlomeno. 

Era da dieci minuti che, seduta sul divano mentre aspettavo che le ragazze venissero a prendermi per andare a scuola, digitavo più e più volte le stesse parole, arrivando puntualmente a cancellarle. 

Non avevo la più pallida idea di quale sarebbe stato il miglior modo per iniziare quella conversazione e, più ci pensavo, meno alternative trovavo.

Quando Luna mi avvertì che mi stavano aspettando, decisi di togliermi il pensiero una volta per tutte.

Senza girarci intorno, gli scrissi che avevo bisogno di vederlo per poi recuperare la cartella ed uscire da casa di mio padre. 

Durante quella giornata non feci altro che controllare se mi fosse arrivata una sua risposta. Alla continua assenza di notifiche mi resi conto di quanto l'attesa potesse essere una gran bastarda. 

A livello pratico non era altro che un insieme di attimi come tanti altri, un arco di tempo trascorso ad aspettare qualcosa o qualcuno. Peccato che la sua definizione avesse sempre ingannato.

All'interno di quella misera spiegazione vi erano dettagli nascosti che nessuno osava mai portare allo scoperto. Dettagli in grado di lasciare con il fiato sospeso e torturare indirettamente una persona. 

Quando finalmente mi arrivò un suo messaggio stavo tardando per l'allenamento.

Nonostante stessi rischiando di rimanere bloccata nel traffico dell'orario di punta, rubai alcuni brevi istanti ai miei impegni per leggere ciò che mi aveva scritto. 

Va bene

Nulla di più, nulla di meno. Un semplicissimo e insapore va bene immerso in un gelo totale.

Con il tempo contro, misi il telefono nella tasca della felpa, mi ripromisi di rispondere più tardi e mi avviai verso il palazzetto. 

Non avevo alcuna voglia di allenarmi, tuttavia mi convinsi ugualmente che sarebbe potuto essere un modo per sfogarmi. 

Non fu così. Non quella volta. 

Sbagliai schemi di gioco che avevamo provato miliardi di volte, non mi concentrai abbastanza da avere i riflessi pronti e lasciai che le mie compagne rimediassero ai miei errori. Furono due ore di puro masochismo. 

Oltre alla consapevolezza di aver giocato in modo a dir poco orribile, il coach si premurò di ricordarmi che non potevo dare per scontato il mio ruolo da titolare. Nulla era dovuto. Dovevo guadagnarmelo. 

Sebbene avessi voglia di rompere qualcosa o urlare, incassai la critica a denti stretti e mi avviai verso lo spogliatoio.

«Va tutto bene?», domandò Selene rivolgendomi uno di quei suoi tipici sguardi inquisitori.

«Ho la testa altrove», replicai sciogliendo i muscoli delle spalle, «e credo si sia visto parecchio». 

«Abbastanza», mi diede ragione, «ma sai che per qualsiasi cosa puoi contare su di me, giusto?». 

«Anche su di me», si intromise Celeste, sbucando dal bagno e sedendosi al mio fianco, «non so per quale motivo, ma potete sempre contare su di me». 

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora