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C'è chi ha paura di innamorarsi, e chi ha paura di non innamorarsi più

Le settimana successiva fu un miscuglio di aggiornamenti. 

Prima di tutto iniziammo ad avere maggiori informazioni riguardo la gita scolastica.

A causa delle divisione fra le sezioni non saremo andate a Copenaghen insieme a Margherita e Luna, ma a Dublino. Era da inizio anno che speravamo di capitare insieme, tuttavia avevamo sempre il viaggio post maturità. Ci saremo rifatte allora.

Ci consegnarono l'itinerario provvisorio ed apprezzai immensamente l'impegno che la nostra professoressa di arte stava mettendo in quel progetto.

Nonostante la sua aria perennemente svampita, si vedeva quanto tenesse ai suoi studenti. Al contrario del nostro professore di diritto che non aveva alcuna intenzione di accompagnarci, ma era stato costretto dal consiglio studentesco. 

Una donna un po' troppo energica, per nulla attenta alle piccolezze e dalle mille risorse, insieme ad un uomo rigido, posato e con nessuna intenzione di tenere d'occhio dei ragazzini.

Una combinazione alquanto insolita. 

La seconda novità furono le giornate di orientamento per l'università.

Avevo le idee abbastanza chiare su ciò che mi sarebbe piaciuto studiare. Tuttavia, ancora non sapevo quale sede prendere maggiormente in considerazione. Raggruppai diversi dati per potervici riflettere. 

Il cambiamento più sostanziale però riguardò la mia famiglia. 

La cena per la quale ci eravamo accordati rappresentò una svolta. Riuscimmo a parlare più civilmente di quanto mi sarei mai aspettata e mi accorsi di quanto i miei genitori sentissero il peso dei miei sentimenti sulle loro spalle.

Su suggerimento di mio padre, tornai ad alternare la mia permanenza in entrambe le case. Per quanto fosse precario quell'equilibrio, dovevo cercare di accogliere nuovamente le vecchie abitudini. Mi serviva trascorrere del tempo con tutti e due. 

Quella scelta derivò soprattutto da un discorso portato avanti dall'uomo che non ricordava nessuno dei miei impegni ma che aveva un grande cuore. 

Mi fece notare che avrebbero potuto provare a rimediare, tentando di risanare il rapporto, ma prima o poi avrebbero dovuto avere un riscontro anche da parte mia. Fu per quel motivo che promisi che mi sarei aperta maggiormente.

Avevano ragione. Se avessi continuato a tenere alto quel muro che avevo costruito, non sarebbe cambiato nulla. Doveva essere un impegno reciproco e, considerando i loro buoni propositi, mi misi in gioco. Sul serio.

Mio padre iniziò ad essere più presente, dando importanza anche a piccoli particolari che prima aveva sempre ignorato. Mia mamma, invece, si diede da fare per non farmi pesare ogni scelta non condivisa, lasciandomi la libertà di sbagliare senza farmi sentire costantemente inadeguata. 

Non modificò radicalmente il suo modo di approcciarsi, tuttavia la sua ossessiva presenza e necessità di controllo, si affievolì. Non si fece mancare alcuni suoi soliti commenti, però non risultarono così severi e pesanti come le volte precedenti. 

Venne addirittura a vedere una mia partita. Si fermò solo per il momento di gioco, scappando non appena si concluse per un'urgenza al lavoro, ma apprezzai comunque lo sforzo. Soprattutto perchè era passato molto tempo dall'ultima volta che aveva messo piede in una palestra.  

Nulla era perfetto. Non lo sarebbe mai stato. Però stavamo cercando di rattoppare quegli squarci che si erano creati. E mi andava bene così. 

«Avete giocato discretamente», annunciò il coach a seguito della nostra vittoria schiacciante. «Al prossimo allenamento andremo a migliore alcuni passaggi che avete sbagliato. Adesso andate a cambiarvi». 

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora