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Chiudere una porta fa ancora più male se dietro ci lasci qualcuno a cui avevi aperto il cuore

Entrai in stazione appena dieci minuti dopo la partenza di un regionale per Milano. L'intervallo fra i treni era davvero breve e non avevo la più pallida idea di quale avesse preso Mirko. 

Feci il biglietto il più velocemente possibile e mi recai al binario sommersa da pensieri ai quali non volevo dare corda. 

A causa di un guasto arrivai più tardi di quanto desiderassi. Schiacciata contro il finestrino, logorata da quella snervante attesa, dovetti sopportare ogni singolo secondo di ritardo. 

Settantaquattro minuti. Li contai. Dal primo all'ultimo. 

Nulla riusciva a distrarmi.

Mi sentivo sopraffatta da una serie di emozioni che mi stavano mangiando stomaco e fegato e si avvicinavano pericolosamente al cuore.

Bussavano alla sua porta, pretendendo di assediare la stanza di quel povero piccoletto. Urlavano incessantemente, scuotendolo con ferocia e sconquassando la pace della sua esistenza. 

Il senso di colpa e l'agitazione si stavano scontrando fra loro mentre la tristezza sedeva ai lati del campo di battaglia, distaccata e imperturbabile. 

Nella confusione della stazione di Milano impiegai fin troppo per trovare mia zia. 

L'avevo chiamata non appena ero salita sul treno e fu impressionante la velocità con la quale si rese conto che qualcosa non stava andando per il verso giusto.

Le raccontai ciò che era successo, la testa troppo affollata e la paura di non poter rimediare ai miei sbagli sempre più soffocante. 

Non aveva battuto ciglio quando le avevo chiesto se, in caso di necessità, potessi fermarmi a dormire a casa sua. Si era addirittura offerta di accompagnarmi all'appartamento di Mirko. 

Per quanto il mio cervello mi urlasse che non ce ne era bisogno, che mi stavo intromettendo nella sua routine, accolsi di buon grado quella proposta. Scelsi di accettare che non potevo farcela da sola. 

Non avevo la più pallida idea di ciò che avrei detto a Mirko, così come non avrei mai avuto modo di conoscere la sua reazione. Anche se avrei voluto. Lo avrei voluto così tanto. 

Speravo solo di riuscire a risolvere quel malinteso e cucire una volta per tutte gli squarci creatisi in quella giornata. 

Quando arrivammo davanti al condominio, mi voltai verso mia zia. «Mi puoi aspettare qui?».

«Certo».

Una signora uscì dal portone e ne approfittai per entrare nell'atrio senza dover suonare il campanello. 

Il respiro si faceva più corto scalino dopo scalino mentre il mio cuore batteva incessantemente contro la cassa toracica. Dava l'impressione di voler uscire dal petto. 

Arrivata alla porta dell'appartamento, mi bloccai. Mi costrinsi a fare un lungo respiro, liberando la mente da qualsiasi paura potesse bloccarmi.

Con la mano che tremava, bussai. 

Non appena scattò la serratura, serrai la mascella. 

Nicole, coperta da uno striminzito completino sportivo, mi riservò un'espressione di pura seccatura. 

«Devo parlare con Mirko», non le diedi occasione di iniziare alcun discorso.

Tese il braccio destro, come a volermi bloccare il passaggio. «Temo non sia possibile», sporse il labbro inferiore, indossando una falsa ingenuità. «Non mi sembra ti voglia vedere». 

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora