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Non può essere sbagliato se poi muori dalla voglia di rifarlo

Mi stavo abituando fin troppo velocemente a dormire con Mirko.

Sentire il calore del suo corpo accanto al mio, rendeva sempre più difficile doverlo salutare dopo un weekend passato insieme. 

Quella mattina, a distanza di alcune settimane da quando avevamo risolto, si era rifiutato di farmi alzare presto. Mi aveva stretto il braccio intorno alla vita per poi sussurrarmi che ero una rottura di coglioni visto che mi svegliavo ad orari improponibili. 

Fingendomi offesa, mi ero imbronciata e avevo lasciato che la sua bocca percorresse il tratto dalla mia spalla al mio collo più e più volte. Lento e delicato soffiava sulla mia pelle mentre mi accarezzava la pancia senza dire una sola parola. 

Mi piaceva quella tranquillità.

Parlare tutta notte, esplorarsi in ogni modo possibile, sussurrarsi segreti sulle labbra. Si trattava di un'intimità che andava ben oltre il significato del termine stesso.

Era un po' come se ci si volesse leggere a vicenda, giorno dopo giorno, tenendo il segno con le dita.

Quando ero finalmente riuscita a convincerlo ad abbandonare il letto erano le dieci e mezza. Trascinandolo in cucina avevamo fatto colazione per poi decidere di uscire. 

La primavera stava lasciando spazio all'estate e il caldo avrebbe presto fatto la sua grande entrata in scena.

Passeggiando per il centro di Milano mentre le sue dita giocherellavano con le mie nessun discorso risultò forzato.

Parlavamo senza smettere un secondo, inventando storie sui turisti che incrociavamo, ridendo a caso e godendoci il tempo che potevamo trascorrere insieme. 

Mangiando un trancio di pizza seduti su una panchina nel Giardino della Guastalla scoprii che odiava le acciughe. Per quanto potesse essere un'informazione apparentemente insignificante, a me sembrava l'ennesimo tassello che mi permetteva di conoscerlo ancora di più. 

Discutendo di cibo e strane fobie, tornammo al suo appartamento. 

L'esame di maturità si stava avvicinando pericolosamente e avevo necessità di recuperare ciò che non avevo fatto nell'ultimo periodo. Non che non mi fossi impegnata, però dovevo colmare alcune piccole lacune. 

Per mia fortuna avevo un ragazzo che sarebbe dovuto entrare in sessione da lì a breve e quel pomeriggio di studio sarebbe servito ad entrambi. 

Almeno così credevo. 

«Arianna». 

«Mh», mormorai con lo sguardo fisso sul testo di tedesco che stavo riassumendo. 

Ci eravamo giocati l'utilizzo della scrivania con la morra cinese e non ero riuscita ad evitare di prenderlo per il culo quando avevo vinto.

In quel momento, disteso sul letto alle mie spalle, sembrava volesse farmela pagare. 

«Arianna», ripeté con tono cantilenante per la milionesima volta in quelle due ore. 

Mugugnai una risposta accennata, troppo concentrata per dargli corda. 

Lo sentii sbuffare. «Arianna». 

Spazientita, lasciai cadere la penna e mi voltai. «Cosa vuoi?». 

A gambe incrociate sul materasso, appunti sparsi attorno a sé e il computer in grembo, mi osservò con l'aria di un angelo mancato. Perchè Mirko poteva ammaliare con la sua bellezza serafica, ma aveva l'anima governata dal diavolo in persona. 

Baciami ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora