VI

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Mi tolgo le scarpe per non fare rumore. Devo essere un felino, silenziosa e scattante, come i gatti che si addormentano accoccolati al sole in cortile e subito scattano non appena sentono un suono sospetto, così veloci da chiedersi se sono davvero stati lì o se li si è semplicemente sognati.

Sono emozionatissima, non ho mai trasgredito le regole di mio padre, se mi dice di non fare una cosa io non la faccio e basta, senza fare tante storie. Da una parte mi fido di lui e dall'altra ne sono un po' intimorita: cosa mi capiterebbe se facessi di testa mia? Se mi becca a sgattaiolare fuori di notte lo scoprirò presto.

Sono sempre stata una figlia ubbidiente, ma poi ho conosciuto lui e tutto è cambiato. Mi sembra che le regole non abbiano senso se servono a tenerci separati. Per quegli occhi neri e profondi sono in grado di compiere qualsiasi pazzia e così eccomi a strisciare nel buio per uscire di soppiatto da una finestra quando mi è stato espressamente vietato di lasciare la biblioteca dopo il calar del sole. Apro piano i battenti guardandomi continuamente alle spalle nel timore di vedere comparire qualcuno che porrebbe fine alla mia impresa. La punizione non mi fa paura perché lo faccio per una buona causa.

Scivolo fuori e sguscio fino al cancello, sul quale mi arrampico tenendo strette le scarpe in una mano. È piuttosto difficile stare attaccata con solo cinque dita a disposizione e fatico non poco a scavalcarlo e scendere dall'altro lato. Il cuore mi batte così forte e le mani mi tremano talmente tanto da rendere la mia presa ancora più incerta. Temo di cadere giù e, oltre a farmi male, di attirare l'attenzione di quelli della Corte su di me. Quando finalmente poso i piedi a terra tiro un sospiro di sollievo, ma prima di mettermi le scarpe aspetto di essere abbastanza lontana da non farmi sentire a causa del rumore delle suole contro il marciapiede.

Mi muovo cercando di seguire l'ombra degli edifici e sono quasi arrivata al punto di incontro quando due mani mi afferrano per la vita tirandomi verso una nicchia buia. Lancio un gridolino di sorpresa e mi divincolo nel tentativo di liberarmi, ma poi un buon profumo di colori a olio e pastelli a cera mi giunge alle narici e smetto di combattere.

<<Vi ho rapita, donzella. Cercare di scappare sarebbe inutile, arrendetevi.>>

<<Mi arrendo, mio signore.>>

<<Saggia decisione, si vede che siete una donna intelligente.>>

Non resisto più e mi giro verso di lui per dargli un bacio sulle labbra sorridenti. Mi spingo verso di lui per stargli più vicina possibile, come se volessi diventare parte di lui. Quando siamo senza fiato ci stacchiamo per respirare.

<<Dove mi volete portare, mio signore?>>

<<In un posto magico, come promesso.>>

Mi prende per mano e ci incamminiamo, abbiamo tutta la notte davanti a noi e già mi sembra troppo breve. Attraversiamo tutta la città e costeggiamo il lago fino ad arrivare davanti ad una villa con un grande giardino che sembra disabitata. Comincia ad arrampicarsi sul cancello e mi fa segno di seguirlo. Sospiro sconsolata, ma lo seguo senza esitazione. Questo deve essere il giorno delle grandi effrazioni.

Quando finalmente siamo entrati mi stupisco che non ci sia nessun allarme a segnalare la nostra intrusione. E sì che sembra una villa costosa: non hanno paura che qualcuno venga a rubare? Be', in ogni caso tanto meglio per noi.

Saliamo uno scalone di pietra che porta davanti al portone di ingresso dove si mette ad armeggiare con la serratura finché non cede. Spalanca la porta e mi fa segno di entrare, inchinandosi come un maggiordomo davanti alla sua dama. La villa all'interno è bellissima, vi si respira un'aria di antico: i mobili devono avere come minimo qualche secolo, ma sono perfettamente intatti e curati.

Fuori da queste pagineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora