20 ~ SOFIA

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Le ossa urlano di dolore anche senza che io muova un solo dito. Il solo respirare mi causa delle fitte lancinanti al petto. Mi sento sospesa in uno spazio vuoto e nero, lontana dal mondo, raggiunta soltanto da ondate di dolore che mi aggrediscono violentemente lasciandomi senza fiato, per poi scemare lentamente.

Soltanto una voce penetra lo strato di silenzio che mi avvolge, pare quasi un bisbiglio come per non svegliarmi. Sembra che stia leggendo qualcosa perché ha un ritmo lento e ben scandito.

Non ho la forza di aprire gli occhi per vedere a chi appartenga quella voce, ho quasi il terrore che possa essere doloroso anche quello e l'unica cosa che desidero al riguardo è affievolirlo semmai. Non riesco a concentrarmi su nessun pensiero, ho la mente stanca, perciò mi lascio cullare da quel suono calmo e pacato che mi tranquillizza, cercando di dimenticare la sofferenza.

A tratti la mia testa cerca di rievocare gli ultimi avvenimenti che si ingarbugliano confusi uno con l'altro, poco chiari, come se fosse accaduto qualche anno fa e non qualche ora fa. Ricordo soltanto che sono stata vicinissima alla morte ma che qualcuno è venuto a salvarmi. Delle braccia mi hanno sollevata e ho poggiato l'orecchio su un petto caldo, dentro cui batteva un cuore vivo, scandendo il tempo come i rintocchi di un orologio. Non capivo più dove mi trovassi, con chi fossi, tutto il mondo intorno a me non era altro che un enorme abisso nero, ma quel ritmo era reale, era l'unica cosa che mi dava la sicurezza di essere ancora viva.

Ho la sensazione di aver fallito, anche se non riesco a ricordare in cosa, ma in verità non è importante, perché tanto fallisco in tutto. Ho di nuovo deluso qualcuno? Ho deluso me stessa? Sì, deve essere andata proprio così, devo aver fatto di testa mia e non ne è uscito niente di buono.

Un'altra fitta mi attraversa il costato e il dolore mi esplode dietro agli occhi. Devo concentrarmi su qualcosa di bello per distrarmi. Quasi all'improvviso mi appare davanti uno sguardo azzurro come un cielo senza confini. È un colore lenitivo, che mi trasmette pace e serenità e presto mi dimentico del male e scivolo in un sogno bellissimo.

Mi sento in una sorta di limbo in cui non si è propriamente svegli ma non si sta nemmeno dormendo. Quella voce che sento poi ha una cadenza che fa sembrare quello che sta leggendo una dolce melodia e nel mio stato di semi-incoscienza é come una ninna nanna. Se ripiombassi in quel torpore buio e denso, totale, non sarò più in grado di tornare indietro, è come il primo passo verso la morte, perciò devo sforzarmi di aggrapparmi a qualcosa, di non lasciarmi andare. Afferro quella voce, la tengo stretta, è il mio unico appiglio con la realtà, con la vita.

Alla fine mi costringo ad aprire gli occhi: la luce mi pare abbagliante come se fosse mezzogiorno e comincio a sbattere le palpebre velocemente per riabituarmi. Sembra troppo intenso, troppo per il mio fragile corpo, poi pian piano riesco a mettere a fuoco: il mondo mi investe di nuovo con i suoi colori, le sue luci, le sue ombre e la vita ritorna a scorrere normalmente.

Sento il rumore delle gente che parlotta in strada. Mi guardo in giro e mi accorgo che quel bisbiglio che prima ho percepito proviene da Ed che sta seduto su una sedia accanto al divano su cui sono sdraiata. È concentrato su un libro che tiene aperto sulle gambe e sembra non accorgersi neanche di leggere ad alta voce talmente è assorto dalle parole che gli scorrono sotto gli occhi. Non posso fare a meno di osservarlo per un po' e penso che il suo modo di tirarsi su gli occhiali con l'indice sia molto tenero.

Provo a tirarmi su a sedere, ma nel farlo sento un dolore acuto alla schiena e mi sfugge un gemito, così Ed si accorge che mi sono svegliata e alza subito lo sguardo a cercare il mio.

«Come ti senti?» mi chiede con la sua voce calda e gentile.

«Un rottame. È come se mi fossero piombati addosso improvvisamente cent'anni.»

Fuori da queste pagineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora