Non riesco a capire come mai Zac sia così acido e sono anche piuttosto arrabbiata con Ed perché mi tratta al pari di un bicchiere di cristallo. Devo trovare una strategia per andare in biblioteca senza tutto il seguito ad accompagnarmi, tanto non ho bisogno della scorta per spostarmi da un posto all'altro, ormai sono abbastanza grande per stare sulle mie gambe. Avrei voluto andarci subito quel pomeriggio, ma ci sarebbero stati troppi testimoni e non mi sembrava il caso di farlo davanti a tutti quegli occhi perché tra essi ce ne sarebbero potuti essere alcuni che tramavano alle mie spalle.
Cammino a fianco di Zac senza parlare, subito dietro a Ed. Ognuno di noi è chiuso in sé stesso, perso dietro ai propri pensieri. È un silenzio teso, l'aria è elettrica e anche il minimo commento potrebbe far scoccare la scintilla che sfocerebbe in una lite. Mi irrita il fatto che siano stati loro a discutere su cosa io potrò fare o meno questa sera. Ce l'ho con me stessa per aver permesso loro di prendere delle decisioni al posto mio, decisioni che spettano a me e a me soltanto. Vorrei tornare indietro nel tempo per far valere la mia posizione anziché rimanere zitta, ma, come sempre, divento coraggiosa solo dopo che le cose sono ormai accadute e vengo travolta dai rimpianti per tutto ciò che avrei potuto fare meglio. Mi dico sempre che la volta successiva non rimarrò a guardare e invece continuo a ricadere nello stesso errore perché troppo insicura.
Sono sempre stata considerata la sorellina piccola, quella debole, quella che ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura. Nessuno ha mai davvero preso in considerazione il fatto che potrei cavarmela anche da sola e questo mi fa infuriare, sebbene non lo dia a vedere e mai mi sono lamentata o ribellata, come se in fondo persino io non credessi in me stessa e nelle mie capacità. Hunter aveva un atteggiamento paternalistico nei miei confronti, perennemente pronto a difendermi da tutto e da tutti, e lo stesso vale per Zac e, a quanto pare, per Ed. Non lo fanno apposta, probabilmente è il mio aspetto a far credere loro che non posso farcela da sola e che perciò li fa sentire in dovere di aiutarmi, io però vorrei che riuscissero a vedere al di là delle apparenze. Se nemmeno le persone che tengono a me riescono a fidarsi, come potrò farlo io?
Siamo ormai arrivati sotto casa di Ed e, una volta entrati nell'appartamento, il ragazzo scompare nella sua camera senza dire una parola. Io e Zac rimaniamo soli e ci sediamo sullo stesso divano di questa mattina, non sapendo bene come muovermi in quello spazio che non mi appartiene. Vorrei trovare un posticino in cui rifugiarmi senza recare il minimo fastidio, permettendo a Ed di dimenticarsi quasi della mia presenza.
Solo adesso mi accorgo che Zac si è presentato a mani vuote e il sospetto mi si insinua nelle ossa come il terrore negli occhi della preda. Non voglio dubitare di lui, ma sono così spaventata da tutto che non capisco più di chi potevo fidarmi, vedo ogni cosa come una possibile minaccia.
«Dove ti sei lasciato? In biblioteca?»
«Sì.»
In quella posizione i suoi occhi non catturano la benché minima luce e mi appaiono cupi e densi, soffocanti. Non ho mai provato paura davanti a lui, ma ora mi accorgo di quanto sia alto e massiccio, i muscoli gonfi sotto la pelle tesa delle braccia e lo sguardo accigliato. In confronto io sono un piccolo chicco di riso. Un brivido mi sale su per la colonna vertebrale.
«Come fai a essere così sicuro che non ti faranno del male? In fondo potresti essere mio complice, no?»
Il tono che ho usato è involontariamente accusatorio. Ci vuole molto poco affinché i suoi occhi si stringano per guardarmi addolorati e io mi senta la più grande idiota ingrata del secolo.
«Non penserai davvero che io sia qui per conto di quella feccia?»
Sposto lo sguardo dal suo viso, colpevole.
«Tu mi ferisci.» Balza in piedi mettendosi proprio di fronte a me. «Ti fidi di più di quella sottospecie di bipede nell'altra stanza che di me. Io darei la vita per te!»
Ha praticamente urlato.
Lo guardo di sottecchi. Gli occhi, ora di nuovo illuminati, luccicano e sembra che il flusso argenteo intrappolato nelle sue iridi crei dei vortici, come un uragano. Posso leggervi la delusione, il senso di tradimento per aver dubitato di lui, che mai si sognerebbe di farmi del male. Sembra che si stia trattenendo per non piangere e mai l'ho visto versare una sola lacrima, nemmeno quando suo padre è scomparso, forse morto, per quel che ne so. Stringe le labbra in una linea sottile e schizza via in cucina per non mostrarsi debole ai miei occhi. È troppo orgoglioso per permettermi di vedere quanto profondamente l'ho ferito, ma io ormai lo conosco troppo bene, so notare e interpretare ogni minima ruga sulla sua faccia, ogni sguardo, e so che gli ho fatto male più di quanto ammetterà mai.
Come posso dubitare della fedeltà dei miei amici quando le persone che non mi vogliono morta in quel momento si possono contare sulle dita di una mano? Mi copro il volto con le mani perché mi sento una stupida, mi vergogno di me stessa.
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Fuori da queste pagine
FantasyEd è un giovane come tanti, che divide il suo tempo tra il lavoro in libreria, gli amici e la famiglia. Ci sono giorni però in cui non riesce a darsi pace: non può accettare la recente morte dell'amata sorella, di cui si sente responsabile. Una sera...