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Sono furente. I tacchi delle scarpe schioccano forti contro il marciapiede a sottolineare la mia rabbia, repressa non senza sforzo. Perché deve toccare proprio a me questo ingrato compito? Ovviamente lo so, è più una domanda retorica. Per certe persone non basta una vita per rimediare ai propri errori e ripagare i propri debiti o i presunti tali. Non mi sento affatto colpevole e non gli devo nulla, ma si sa, la famiglia è pur sempre la famiglia.

Scuoto la testa sprezzante al pensiero dei miei parenti e per consolarmi comincio a immaginare tutti i dolorosi modi possibili per farli morire come si meritano. Quanto mi irrita dover recitare la parte della brava figlia che aiuta il suo paparino, non mi si addice per nulla, anche se per tutti io sono semplicemente il suo braccio destro, colei che impugna la spada, o per meglio dire l'ascia, al posto suo.

Stupida ragazzina, ci mancava soltanto lei. Non che abbia di meglio da fare, ma dover andare in giro a inseguire una bambina mi dà sui nervi. Che faccia pure quel che le pare, dal mio punto di vista non costituisce nessun tipo di minaccia. Suo fratello era diverso, fatto di tutta un'altra pasta, ma lei... è solo una piccola stupida incapace. Lui era il sole e lei un insulso pianeta che gli girava attorno, illuminato dalla sua luce. Sono certa che non ha capito niente. Ovviamente però il capo non sono io e quindi devo stare agli ordini.

Digrigno i denti. Non so nemmeno da che parte cominciare. Trovare una persona in una città è come cercare un ago in un pagliaio. Praticamente impossibile. Comincio a vagare per le strade senza impegnarmi seriamente nel mio compito. Se non la troverò per caso, la darò per morta e fine della storia, niente più caccia al topo. 

Rallento il passo. Me la prenderò con comodo, quasi fosse un giorno di vacanza. Trovo un bel posto dove sedermi, sotto una pianta rivestita dei colori giallo arancio dell'autunno. Mi passa a fianco una coppietta di fidanzatini che si ferma proprio sulla panchina lì vicino. Lei è aggrappata al suo braccio come una scimmia al ramo di un albero e si guardano adoranti, ogni tanto si scambiano un bacio. Sento il sapore della bile salirmi in bocca. Odio le persone felici.

Mi dirigo verso di loro come un carro armato.

«La volete smettere? Non vedete che questo è un luogo pubblico?»

I due si voltano a guardarmi allibiti. Si stanno di certo chiedendo chi sia quella pazza che è venuta ad importunarli per qualche misero bacetto.

«Allora? Certe cose fatele a casa vostra.»

Si alzano senza sapere cosa ribattere e se ne vanno intimoriti dal mio aspetto. Incutere paura è la mia specialità.

Li vedo bisbigliare tra di loro e poi ridere. Si prendono gioco di me, come se non fosse colpa loro. Perché sbandierare così la loro felicità davanti agli occhi delle persone sole, abbandonate a sé stesse, senza nessuno ad abbracciarle? La reazione poi è scontata. Non che ne abbia bisogno, per carità. Io sto bene nella mia solitudine.

Non riesco più a riaccomodarmi sulla mia panchina, quel posto mi è diventato odioso. Mi allontano stizzita. Perché il mondo deve essere così pieno di quell'orribile sentimento falso e ingiusto?

Odio l'amore.

Fuori da queste pagineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora