10 ~ SOFIA

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«Bene. Dove vuoi andare?» mi chiede Zac non appena la porta della libreria si chiude alle spalle di Ed. Il suo tono è decisamente diverso da quello con cui si è rivolto a lui, più dolce, con una nota affettuosa. Non l'ho mai visto comportarsi in quel modo senza un motivo. Mi deve delle spiegazioni.

«Ehm, non saprei, non conosco la città. A vedere il lago?»

«Okay, da questa parte, milady.»

Mi porge un braccio, come un gentiluomo che scorta la sua dama, a cui mi avvinghio felice. Sorrido ai suoi occhi che mi guardano luccicanti.

Dopo un po' che camminiamo Zac si ferma e si volta verso di me per guardarmi in faccia.

«Okay, Scricciolo, dimmi cosa c'è che non va adesso.»

«Niente.»

«Pretendi davvero che io ti creda? Ti conosco troppo bene.»

«Non è nulla di importante.»

«Dai, non farti pregare, sputa il rospo.»

«Mi stavo solo chiedendo perché te la prendi tanto con Ed, in fondo tu non lo conosci nemmeno e io posso assicurarti che è una brava persona, per quello che posso saperne.»

«Ha qualcosa che non mi convince, e poi è solo un uomo, certe cose non dovrebbe nemmeno saperle.»

«Be', non c'è nessuna legge che vieta di parlarne con gli umani. Sta a noi decidere se farlo o meno, se ci fidiamo.»

Almeno spero sia così perché altrimenti, oltre ad essere ricercata per chissà quale segreto che non dovrei sapere (e che infatti non so), sarò anche condannata per aver infranto la legge. In che guaio mi sono cacciata?

«Io di quello lì non mi fido affatto, lo stai coinvolgendo in un faccenda più grande di lui e, soprattutto, che non lo riguarda minimamente.»

«Abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile, da soli ci spazzeranno via in un battibaleno. Ho provato a lasciarlo fuori, ma sembra che il destino voglia che le nostre strade procedano parallele per un po'.»

«Si, certo, ma dovremmo cercare l'aiuto di qualcuno di un po', come dire, più abile. Se ci dovesse essere uno scontro verrebbe eliminato in meno di tre secondi e fine dell'aiuto.»

«Non puoi dargli almeno una possibilità?» Lo guardo con occhi imploranti. «Per favore.»

«E va bene, teniamoci il marmocchio, ma non chiedermi di essere gentile con lui.»

«Mmm, però mi prometti che non lo picchierai.»

«Vedrò cosa posso fare.»

«Facciamo finta che sia un sì.»

Una mezza concessione è sempre meglio di niente.

Dopo una bella passeggiata sul lungolago fino al parco di una famosa villa, con tanto di sguardi poco discreti di alcune ragazze che si sono girate nella nostra direzione quando siamo passati loro a fianco (chissà per quale motivo), siamo ora comodamente seduti all'ombra di un grande albero frondoso, una conifera dal tronco maestoso, e il sole brilla alto nel cielo. L'atmosfera è tranquilla e per un attimo riesco a scordarmi di tutti i miei problemi, come se dei raggi caldi potessero essere la soluzione. Mi sdraio, incrociando le braccia dietro la testa, per poter guardare i rami mossi da un venticello leggero e godermi il momento. Un'altra vaga immagine mi balena davanti come una visione dai contorni sfumati.

C'è un altro albero, molto simile a quello, su cui è arrampicato un ragazzino dal viso vispo, in parte nascosto da un ciuffo di riccioli castani, che mi tende una mano per aiutarmi a salire. Ha il volto ovale e olivastro, illuminato da un grande sorriso che gli prende anche gli occhi. Sono tentata di allungare le dita nella sua direzione e forse lo faccio davvero, solo che presto quell'immagine scompare, come portata via da una folata di vento, e un'altra scena prende il suo posto. 

C'è sempre lo stesso albero, solo che questa volta io e la versione da bambino di quel ragazzo siamo seduti sui rami possenti e rugosi della grande pianta. Il profumo di resina invade l'aria, solleticandomi il naso, e l'intricato groviglio di fronde che ci circondano, come se fossimo all'interno del ventre dell'essere vegetale, mi dano un senso di sicurezza e protezione. Una luce calda, gialla e intensa come in una giornata in piena estate, filtra tra le foglie e illumina una piccola apertura nel tronco, larga abbastanza da infilarci dentro una mano. Il bambino prende una delle mie mani e se la appoggia sul cuore, in gesto di grande affetto.

«Tu sarai sempre qui, Sofia. Qualsiasi cosa accada ci sarà sempre un posto per te nel mio cuore.»

Torno al presente e spalanco gli occhi. La sua voce e il suo volto continuano a ronzarmi nel cervello, come un'eco lontana di un ricordo di un passato felice.

Il cuore di quando eravamo bambini.

So cosa vogliono dire quelle parole. Mio fratello vuole che vada all'albero di fianco alla biblioteca dove, da bambini, ci rifugiavamo quando eravamo tristi, dove aprivamo il nostro cuore uno all'altra e dove a volte ci lasciavamo messaggi segreti dentro le piccola cavità nel tronco. Era il nostro posto magico, un mondo a parte dove potevamo stare soli io e lui.

Balzo in piedi, folgorata da questa illuminazione.

Anche Zac, che si è sdraiato accanto a me, sobbalza per il mio movimento inaspettato. I suoi occhi sono un grande punto interrogativo.

«Che succede?»

«Zac, so cosa voleva che facessi mio fratello» esclamo euforica.

«Ebbene?» mi chiede mettendosi a sedere, incuriosito dalle mie parole.

«Sta cercando di dirci qualcosa e non ho intenzione di stare qui con le mani in mano. Dobbiamo andare in biblioteca!»

Mi guarda con aria preoccupata. Forse pensa che sono uscita di senno e mi sto buttando volontariamente tra le braccia della morte, ma in realtà sono lucidissima e se è lì che mio fratello vuole che vada, lì andrò.

Fuori da queste pagineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora