Non sembra tranquillo nemmeno adesso che ha perso i sensi. Una ruga di preoccupazione gli solca la fronte tracciando una riga netta tra le sopracciglia. Ci passò sopra un dito sperando di riuscire a distenderla, ma rimane lì dov'è, quasi fosse entrata a far parte dei tratti del suo volto in modo permanente. Me ne sto seduta ad osservarlo, mentre sta sdraiato sul letto che fino ad ora ho sempre occupato io. Anche gli altri si trovano tutti nella stessa stanza, ma non faccio molto caso a loro. Il futuro che aspetta Ed mi preoccupa tanto quanto lui: se dovesse morire, cosa che pare quasi inevitabile, sarebbe per colpa mia, sarebbe come se lo avessi ucciso con le mie mani. Che cosa gli ho fatto? Come ho potuto permettere che si arrivasse a questo? Avrei dovuto essere io a rischiare la vita, io sarei dovuta essere la proprietaria della spada, non lui, non Ed, che in questa storia non c'entra proprio nulla.
«Mi spiace, mi spiace, mi spiace,...» dico come un mantra, anche se lui non può sentirmi.
Mi sono offerta di fare la guardia questa notte per poter essere sveglia quando Ed riaprirà gli occhi. Voglio essere presente, voglio potermi scusare ancora mille e mila volte con lui, voglio poter prendere il suo posto, sopportare questa sofferenza che gli è piombata addosso come una disgrazia, voglio baciarlo fino a che non sarò certa che non morirà. Voglio così tante cose che tuttavia sono irrealizzabili dato che sono totalmente impotente. Anche Zac si è offerto insieme a me, forse per controllarmi o per fare anche la mia parte in caso mi addormentassi nel bel mezzo della notte. Oppure non può semplicemente sopportare che io rimanga sola con Ed, forse in qualche modo misterioso percepisce il mio inspiegabile istinto di gettarmi tra le sue braccia non appena si sveglierà e vuole evitare che accada.
Ora se ne sta in disparte, dall'altro lato della piccola camera. Insomma, il più lontano possibile da Ed, che come è ormai noto a tutti sembra odiare senza possibilità di guarigione. Tutti gli altri, benché Michi e Lex abbiamo detto che non avrebbero chiuso occhio finché non avessero avuto la certezza che stesse bene, sono crollati in un sonno ristoratore, a causa della stanchezza di una giornata intensa di allenamento. Devo proprio dire che Zac ci va giù pesante, se potessi scegliere non sarebbe mai il mio personal trainer, a meno che non fossi una pazza amante dei regimi totalitari. Oggi è piuttosto silenzioso, più tardi gli chiederò se c'è qualcosa che non va (oltre al fatto che l'ho rifiutato e che questo dovrebbe farmi capire che non è il caso che io gli faccia una domanda del genere, sarebbe un po' da ipocriti), ma per il momento sono in attesa di rivedere l'azzurro degli occhi di Ed e tutto il resto passa in secondo piano.
Quasi abbia sentito la mia assidua preghiera, due cieli si spalancano davanti a me.
«Sofia...» dice con la voce impastata di chi si è appena svegliato.
«Sono qui.» D'istinto gli prendo una mano e la stringo forte. Sento gli occhi riempirmisi di lacrime per la contentezza di sentire la sua voce e perché mi ricorda che potrei non udirla mai più se le cose andassero male come sembra. Sopra di me percepisco il peso della paura di perderlo, ma adesso mentre mi guarda con i suoi occhi purissimi mi pare di essere stata alleggerita per un attimo del macigno di responsabilità e colpe che mi grava sulle spalle.
«Cosa è successo? Che ore sono?»
«Ormai è l'una passata. Prima, mentre parlavamo, sei svenuto» dico nel modo più dolce possibile.
«Ah, già. Mi raccomando, fate un bel discorso per il mio funerale» afferma cercando di fare dell'ironia nonostante si legga lo sconforto scolpito sul suo volto. Si mette a sedere sul letto cosicché i nostri volti ora sono alla stessa altezza. Non mi lascia la mano e io gliene sono grata. Vorrei dirgli di non lasciarmi mai più. Senza pensarci due volte lo abbraccio stretto, presa da una sensazione di nostalgia, come se non lo vedessi da anni e ci fossimo finalmente rincontrati, e gli sussurrò in un orecchio: «Mi dispiace, mi dispiace così tanto. Farò in modo che non ti accada niente».
Dopo un attimo di esitazione ricambia il mio abbraccio stringendomi con tutta la forza della sua disperazione. Affonda il viso nei miei capelli e lo sento respirare profondamente, il suo fiato caldo sul collo. Io inspiro il suo profumo, l'odore forte del bagnoschiuma da uomo, dato che proviene da casa di Lex, che stiamo usando tutti. Ma sotto c'è anche l'essenza della sua pelle che mi fa sentire ancor più vicina a lui e mi fa venire voglia di annegare tra le sue braccia.
«Eh-ehm.»
Mi sono totalmente dimenticata della presenza di Zac, che ci guarda dall'altra parte della stanza. Mi sciolgo velocemente dalla stretta delle braccia di Ed, con il volto paonazzo per l'imbarazzo. Non che io abbia fatto alcunché di cui vergognarmi, ma mi son sentita esposta, i miei sentimenti su un vassoio d'argento. E poi forse dovrei cercare di contenermi davanti a lui per non ferirlo più di quanto non abbia già fatto.
«Grazie mille, le vostre smancerie potete anche farle in privato.»
Sul suo viso un'espressione tesa ne indurisce i lineamenti rendendolo così diverso dallo Zac che ho sempre amato e che mi ha riservato sorrisi e abbracci dacché ho ricordi. Se lo si conosce bene tanto quanto lo conosco io, si capisce che è tutta una maschera per nascondere come si sente dentro davvero, che sta soffrendo davanti a quella intimità, mentre chiunque altro potrebbe pensare che è arrabbiato oppure indifferente, come se niente potesse toccarlo o ferirlo. Non riesco ancora a credere a quello che mi ha confessato solo pochi giorni fa: mi ama, mi ama e io non me ne sono mai accorta. Quando era potuto accadere senza che io lo notassi? Il mio affetto per lui rimane immutato, ma questo significa che per me è soltanto un amico e che lo sarà per sempre, ma forse a lui questo non basta e io mi sento in colpa perché non posso dargli quello di cui ha bisogno. Ci sarò sempre e comunque per lui, ma non in quel modo.
Non c'è mai stato prima dell'imbarazzo fra di noi, tuttavia in questo momento non riesco a sostenere il suo sguardo. Non voglio leggervi la delusione per aver scelto Ed e non lui, perché immagino che dal suo punto di vista le cose appaiano così. Io non ho scelto proprio niente invece, sono troppo importanti per me e non rinuncerei mai ne a uno ne all'altro.
«Ma che ti ho fatto di male per meritarmi il tuo odio? In questo momento la mia vita è una merda, lasciami in pace per una buona volta» si lamenta Ed stringendo più forte la mia mano, come per trovare l'energia necessaria per rivolgersi a Zac in questo momento di grande dolore per lui.
«Avresti dovuto lasciare a me quella spada allora» risponde acido il mio amico.
«Pensi che io la volessi? Te la cederei ora se potessi. Ma perdonami se ho tentato di salvare la vita a Sofia, non credevo ti avrebbe adirato tanto.»
Zac rimane in silenzio e io mi sento un po' di intralcio, come se fossi in mezzo a una disputa che non mi riguarda, anche se di fatto stanno litigando per me, la loro inimicizia fin dall'inizio è stata a causa mia in fin dei conti.
«Ci stavo pensando io a lei» bofonchia alla fine.
«Mi sembrava che fossi in difficoltà a dire il vero.»
«Era tutto sotto controllo.»
«Senti, non ho voglia di litigare con te, è così impossibile per te riconoscere di aver bisogno del mio aiuto?»
«Io non ho bisogno dell'aiuto di nessuno» dice sibilando tra i denti.
«E invece sì. Perché devi essere così arrogante?»
«Fate quello che vi pare, visto che non sono il benvenuto me ne vado.» Detto ciò esce a grandi passi dalla stanza.
Vorrei fermarlo e consolarlo, ma cosa dovrei dirgli? Ed mi ha salvato la vita e lui continua ad odiarlo, anzi, forse lo odia ancora di più perché significa che non è stato in grado di proteggermi. Perché deve essere tutto così complicato?
STAI LEGGENDO
Fuori da queste pagine
FantasyEd è un giovane come tanti, che divide il suo tempo tra il lavoro in libreria, gli amici e la famiglia. Ci sono giorni però in cui non riesce a darsi pace: non può accettare la recente morte dell'amata sorella, di cui si sente responsabile. Una sera...