Epilogo

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Cinque mesi dopo

«Se andiamo avanti così, avremo bisogno di una parete più grande».

Alex fece un passo indietro, stappando il pennarello con i denti. Oggi era il suo turno, e io tremavo ogni volta che toccava a lui inventarsi una nuova regola.

Sentii uno sbuffo alla mia destra. Christian rotolò sul fianco, stravaccandosi sul letto ancora sfatto. «Vediamo che stronzata s'inventerà questa volta mio fratello» mi disse.

"Si cucina senza pantaloni" era stato cancellato con due colori diversi: una volta da me e una volta da Christian, che aveva guardato Alex con aria disgustata.

Mi sembrava assurdo che avessero deciso di vivere insieme in quell'appartamento. Quando lo avevo scoperto, avevo scommesso con Philip che non sarebbero resistiti per un mese. Ma era vicino all'università di entrambi e distava solo un quarto d'ora dalla struttura di Alison, quindi immaginavo che fosse comodo per tutti. Philip, invece, era stato meno ottimista rispetto a me, e aveva puntato sul fatto che non sarebbero durati quattro giorni.

«Se avete intenzione di picchiarvi, vado a prendere i popcorn» dichiarò proprio quest'ultimo, rientrando nella stanza con una lattina di cola. La scosse tra le dita lunghe, mentre con l'altra mano si sistemava la chioma ingellata. «Ne vuoi un po', piccola?» mi chiese, avvicinandosi al letto.

Fece per sedersi con noi, ma Alex non doveva essere d'accordo con quei piani. Lo afferrò per il colletto dalla maglietta, rimettendolo subito in piedi.

«Fuori dalle palle tutti e due» ordinò, scoccando un'occhiataccia a Christian, che stava tamburellando i pollici sulla pancia, ancora disteso al centro del letto. «Sono stufo di farvi da babysitter, trovatevi un posto vostro».

Ero già pronta a godermi un litigio in pieno stile Case, quando stranamente Christian assecondò il fratello. Si alzò, e per un attimo credetti davvero che avrebbe lasciato perdere. Ma quando vidi il suo sorriso beffardo, un flebile sospiro sfuggì dalle mie labbra. Conoscevo quell'espressione: di solito era sinonimo di guai. Fu per quello che lo ammonii con lo sguardo. Christian amava tirarmi in mezzo alle loro faide, perché sapeva che era il modo più rapido e indolore per far innervosire Alex.

Lui ricambiò il mio avvertimento con un'occhiolino. «Chiamaci, quando ti accorgerai che mio fratello è uno sfigato» mi disse raggiungendomi. Poi mi attirò in un breve saluto, circondandomi le spalle con un braccio. «Ti portiamo a una festa».

Scossi la testa divertita e lanciai un'occhiata ad Alex, in attesa di una sua replica. Lui, però, si era limitato a inspirare lentamente e aveva già ripreso a osservare il muro.

«Sai, Reed» iniziò, mentre gli altri uscivano dalla stanza lasciandoci un po' di privacy. «Questa regola sono sicuro che non la cancellerai».

Avevamo iniziato quella tradizione un paio di mesi prima, durante una delle nostre infinite conversazioni notturne. Credevo che Alex non fosse uno che tollerava a lungo le domande o le chiacchiere, ma con me era diverso. Avevamo passato così tante ore distesi a letto, raccontandoci mille aneddoti diversi della nostra vita, che ormai era quasi un'abitudine. Ed era stato allora, che mi aveva rinfacciato di non avergli più raccontato delle mie regole, dopo il Wenham Lake. All'epoca rappresentavano un qualcosa di troppo personale per pensare di condividerlo con lui, ma adesso non m'importava più di nascondere il mio passato.

Ogni volta che mi fermavo da lui a Boston, gliene raccontavo una prima di andare a dormire. Alla quinta, Alex aveva sostenuto di doverle scrivere, come se non avesse una memoria superiore alla media. Era stato a quel punto, che avevo notato la strana pellicola nera con cui aveva fatto ricoprire un muro della sua stanza. Era una lavagna adesiva, mi aveva spiegato. Potevamo scrivere con i pennarelli a gesso per poi cancellare il tutto, e da lì ogni weekend avevamo iniziato a inventarci delle regole tutte nostre.

NOCTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora