20 - Spiegazioni (II)

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Mi allungai, fingendo di stirare i muscoli delle gambe, mentre i miei occhi setacciavano il parco dietro casa Parker.

Quel pomeriggio, sotto l'attenta supervisione di Philip, avevo ingurgitato uno strano mix di vitamine e integratori, per riprendermi dalla droga che ancora sembrava essere in circolo nel mio sistema digestivo. Non aveva fatto effetto subito, anche perché dubitavo che sarebbe bastata della semplice vitamina C per farmi tornare in forma. Ciononostante, quando mi ero sentita abbastanza in forze, mi ero trascinata a Plains Park, per fingere di andare a correre come ogni giorno.

Alex non era d'accordo con quella mia idea. L'obiettivo infatti era puramente quello di avvicinare Elizabeth e provare a farla parlare. Ma, a dire il vero, non era mai d'accordo con niente di ciò che facevo, e la cosa quindi non mi sconvolgeva più di tanto.

A ogni modo, quella era già la seconda volta che facevo il giro del parco nella speranza di intravedere la chioma rossa di Elizabeth, tuttavia, complice il tempo uggioso, sembrava che i temerari che si erano avventurati fuori casa fossero solamente due ragazzi a spasso con il cane.

«Vedi niente?».

La voce di Philip rimbombò nelle cuffiette del telefono. Quel giorno, avrei rinunciato alla mia playlist da corsa, per rimanere in contatto con lui e Alex, i quali avevano allestito una specie di campo base da me. Mio padre non sarebbe infatti tornato prima dell'indomani e per le prossime ore avremmo avuto la casa tutta per noi.

«Niente di nuovo» mormorai, utilizzando la scusa di toccarmi le punte dei piedi, per nascondere il viso mentre parlavo. «Solo la coppietta con il barboncino sporco».

«La puzza di cane bagnato mi perseguiterà per giorni» si lamentò Philip dall'altra parte del telefono.

Sbuffai, infastidita. «E tu non l'hai neppure sentita per davvero» lo corressi. «Ci sono io, qua sul campo».

«Possiamo concentrarci?» s'intromise la voce profonda di Alex.

Sentii Philip borbottare qualcosa sul fatto che non lo sopportasse più, mentre io mi limitai a rimanere zitta e simulai un po' di stretching, sgranchendomi le braccia, prima di riprendere a correre.

Avevo la terribile sensazione di dover vomitare e non capivo se fosse dovuta all'ansia, o a causa delle sostanze che avevo ancora in circolo dalla sera precedente. Probabilmente, era un misto di entrambe.

E proprio quando ero sul punto di riprendere il sentiero che portava alla collinetta, vidi una figura famigliare con una cascata di ricci rossi, seduta su una delle panchine di fronte al campetto di basket, dove un ragazzino stava tentando di fare canestro.

«È qui» mormorai concisa, cambiando direzione. «Ci sentiamo dopo».

Staccai le cuffiette con un gesto secco, affrettandomi a chiudere la conversazione telefonica. Philip e Alex non ne sarebbero stati contenti, perché l'accordo per permettermi di andare da sola prevedeva un costante aggiornamento. Tuttavia, quella si prospettava come la mia prima vera conversazione con Elizabeth dopo anni, e volevo che accadesse alle mie condizioni. Non ero ancora pronta a condividerla con il resto del mondo e sapevo che quella decisione dovesse dipendere unicamente da me.

Mi avvicinai piano, riflettendo su come fosse meglio approcciarla, ma per qualche strana ragione il mio cervello non riusciva a concentrarsi come avrei voluto. Sentivo solamente l'erba bagnata che mi solleticava le caviglie, e le mani che si stringevano attorno al telefono, senza sentirlo davvero, perché il freddo aveva congelato i miei sensi.

Cosa avrei dovuto fare?

E cosa avrei dovuto dire?

Non feci in tempo a pensare a un piano intelligente, perché quando fui a una decina di metri, Elizabeth si voltò con calma nella mia direzione.

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