50 - Ritorni (II)

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«Vuoi restare?».

Alex si sporse verso di me, con i gomiti sul bancone e le mani unite che giocherellavano con il labbro inferiore. Era trascorsa solamente qualche ora da quando avevamo litigato nel parcheggio della Churchill Accademy, eppure a me sembrava passata una settimana.

«Non voglio costringerti, ma sarei più tranquillo a saperti qui» ammise calmo.

Mi appoggiai al bancone anche io, posando il mento sul palmo della mano e cercando di non giudicare la mia decisione come un passo indietro. Volevo restare, anche se mi sentivo frastornata e forse avrei preferito poter mettere la mia vita in pausa per qualche ora. Ma tra me e Alex non c'era in corso una gara. Non era una sfida a chi resisteva di più. Eravamo due persone che nonostante tutto non riuscivano a stare lontane.

«Resto» confermai. «Se per te va bene».

Il sorrisino che mi rivolse rispose al posto suo. Drizzò la schiena e allungò una mano, fino a prendere la mia. Mi guidò verso di lui, facendomi scendere dallo sgabello e avvicinandomi fino a quando non fu in grado di posare una mano sulla mia guancia. «Sempre» disse lasciandomi un bacio sulla fronte.

Un brivido mi danzò lungo la schiena. Erano tutti gesti dolci, delicati, quasi cauti. E avevo l'impressione che si stesse controllando proprio come aveva fatto in camera sua. Solo che io non ero sicura di voler tutta quella calma. O meglio, prima la tensione era arrivata a un livello tale che sapevo perfettamente di non voler nulla che avesse a che fare con la delicatezza. Adesso, invece, due forze sembravano ancora battagliare dentro di me: la parte che voleva lasciarsi andare, e la parte che si stava ancora leccando le ferite. Forse per un altro sarebbe stato più facile superare i propri problemi di fiducia, ma non per me.

«Dai, andiamo» disse accennando il piano di sopra. Con una mano afferrò il gelato mezzo sciolto e lo infilò nel freezer, mentre io recuperavo le ciotoline e le lasciavo nel lavello. Sapevo che Christian non avrebbe neppure notato tutto quel casino al suo ritorno.

Seguii Alex fino alla base delle scale ma quasi finii addosso alla sua schiena, quando si bloccò vicino al pilastro dietro cui era nascosto l'accesso al piano interrato. Attaccato al muro, un display sottile s'illuminò quando Alex passò l'indice sul bordo. Doveva essere una sorta di computer generale che controllava la casa, perché vidi passare velocemente alcune schede con il perimetro della villa, la temperatura e i sensori di movimento. Istintivamente un moto di paura mi fece rabbrividire. Era una reazione stupida perché io vivevo ogni giorno a casa Parker senza il più banale dei sistemi d'allarme, ma l'idea che lì ne servisse uno così sofisticato insinuò una strana paura in me.

«Dammi un secondo. Devo controllare che Christian non abbia cliccato qualcosa a caso come al solito» mormorò lui, scambiando i miei brividi per stanchezza.

«Come farà a rientrare, se attivi tutto?» gli chiesi appoggiando il lato della testa al suo braccio.

Alex lo sollevò per permettermi di accoccolarmi meglio su di lui. Forse in fondo ero davvero stanca.

«Sei ottimista, se credi che tornerà prima di domani mattina» disse con una bassa risata.

Giusto, era con Claire. A quel pensiero, drizzai le spalle, spostandomi lievemente dal suo corpo. Non sapevo perché la questione mi imbarazzasse, ma credo che avesse a che fare con il fatto che, come loro due si erano presi la privacy che volevano, ne avevano lasciata altrettanta a me e ad Alex.

Lo guardai di sottecchi, sollevando un po' il mento, mentre lui finiva di controllare con sguardo analitico le impostazioni che aveva appena selezionato. Dovevo essere proprio un disastro per sentirmi in imbarazzo con un ragazzo che aveva già visto il peggio di me. Un ragazzo dal quale ero terribilmente attratta e che mi forniva ogni rassicurazione di cui avevo bisogno. Forse non sarei stata così insicura, se non avessi capito di amarlo anche io così tanto. 

NOCTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora