40 - Caos (III)

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C'è ancora il modulo da firmare.

Avevo sentito quella frase rimbombare nella mia testa per ore, dopo la telefonata di Smith. E tra le accuse di Alex e quella minaccia incombente, avevo percepito le quattro pareti di quello stanzino diventare sempre più claustrofobiche e asfissianti. Mi ero tirata fuori dalla palestra con le orecchie che fischiavano e la testa leggera. Avevo percorso la rampa di scale fino all'ufficio del Coach Russell con le gambe instabili, i respiri che si facevano sempre più corti e il cuore che martellava sotto pelle. E quello era il motivo per il quale avevo cercato subito Philip.

L'avevo trovato che ancora gironzolava per scuola insieme a Dean. Non avevo idea di cosa avessero combinato, ma erano comparsi in prossimità del campo da football con le mani sporche di pittura colorata e due sorrisi stampati in volto. Gli era bastato vedere la mia espressione vuota per cancellare dalla faccia di entrambi quel divertimento. Ma nell'esatto istante in cui avevano capito che avessi bisogno di loro, a nulla erano valsi i miei tentativi di convincerli del contrario.

Ecco perché adesso mi trovavo qui. Incastrata tra loro due, mentre discutevano con mio padre del recente acquisto dei Boston Celtics, dopo essersi imbucati alla famosa cena per il mio compleanno.

«Ricordatevi le mie parole: Hernangomez merita un casino» esclamò Dean, mentre Philip scuoteva la testa vigorosamente. Caleb sbuffò ma non disse niente. Avevano trascinato anche lui e Alice e casa con noi, e Lauren era stata ben felice di ordinare una montagna di pizze, pur di liberarsi di mio padre in modalità cuoco apprensivo. 

«Sto con il ragazzo io» confermò James sollevando le mani in segno di pace.

Erano venti minuti che litigavano per il campionato di basket e organizzavano di andare a vedere una partita insieme. Era strano vedere mio padre così a suo agio con i miei amici, ma dovevo ammettere che era una bella sensazione. Era come se i miei mondi potessero incontrarsi e coesistere. Tuttavia, stare lì in mezzo a loro mi riempiva il cuore di una strana malinconia. Di un sentimento dolceamaro capace di macchiare quella serenità fin troppo facilmente.

Non avevo ancora trovato una soluzione per l'indomani, quando mi sarei dovuta presentare da Smith e il vuoto lasciato da Alex si faceva sentire il doppio quando ero circondata da tutte quelle persone. Sapevo che fosse assurdo: avrei dovuto soffrire di più quando ero da sola, quando ero circondata da un silenzio che urlava a gran voce quanto fossi brava a bruciare le relazioni con gli altri. Ma ero talmente abituata a passare del tempo con me stessa, che in qualche modo sapevo sempre come distrarmi o come camuffare l'assenza degli altri persino alla mia stessa mente. Quando però mi ritrovavo lì, circondata dall'affetto di tutte quelle persone, sapere di non poter avere l'unica della quale avrei avuto bisogno, mi annientava.

Philip mi passò una mano tra i capelli, scompigliandomeli. «Tutto bene, piccola?» mi chiese con uno sguardo sospettoso. Prima che riuscissi ad aprire bocca, però, aggiunse: «Mi sembri la diciottenne più musona del pianeta Terra».

Quel commento fu in grado di strapparmi un sorriso, ma sapevo che Philip ci vedesse fin troppo lontano per mentirgli. Sollevai le spalle, facendo una smorfia triste con le labbra. Non gli avevo ancora raccontato nei dettagli ciò che era successo con Alex e probabilmente non lo avrei neppure fatto. Ma sapevo che doveva essersi fatto un'idea della gravità della situazione tra noi due, perché anche lui aveva tentato di contattarlo senza successo.

«Dai, vado a prenderti una bir... Una coca-cola» si corresse, lanciando un veloce sguardo a mio padre.

James gli aveva già scoccato un'occhiataccia che mi fece ridacchiare. Non sapevo chi fosse il più minaccioso tra lui e Alice, quella sera. Lei se ne stava appollaiata sul bracciolo del divano accanto a Dean, e mi fulminava ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano.

NOCTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora