39 - Caos (II)

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Non avevo mai pensato che compiere diciott'anni fosse qualcosa di speciale. In generale, i compleanni non avevano mai suscitato un grande interesse in me. Non rimanevo abbastanza tempo in uno stesso posto per pensare di festeggiare con i miei amici, o meglio, con i miei compagni di scuola, così spesso ci trovavamo solo io e James a mangiare qualche torta decisamente troppo zuccherata o semplicemente a goderci una serata fuori. 

Compiere diciotto anni, quindi, non mi sembrava nulla di diverso dal solito. Non mi sentivo più matura rispetto a quando ero arrivata a Danvers e, anzi, spesso avevo la sensazione che tutto ciò che stavo affrontando avesse tirato fuori un lato più impulsivo e più lagnoso di me. Un lato che avevo cercato di sopprimere, tentando di dimostrarmi sempre la più matura tra me e mio padre, forse perché lui invece aveva sempre vissuto alla giornata.

Ero abituata a darmi da sola la stabilità e la sicurezza della quale avevo bisogno e solo recentemente avevo capito quanto quel comportamento non avesse proprio nulla di intelligente o di maturo. Era solo un modo per nascondermi dietro a un muro che mi teneva a distanza da tutto ciò che poteva toccarmi, a distanza da tutto ciò che poteva farmi male.

Quindi era questo crescere? Mi chiesi riparandomi nella mia giacca vento, mentre sferzate d'aria fredda facevano mulinare i miei capelli. Rendersi conto che ciò che si è sempre considerato come un pregio, se aggredito, può diventare la nostra peggiore debolezza? E quando avremmo capito, invece, che ciò che abbiamo sempre considerato un difetto, in realtà è proprio ciò che ci ha costretto a diventare così forti?

Emisi un profondo sospiro, mentre riponevo il cellulare nella tasca del giubbino. La sera prima mio padre era sgattaiolato nella mia stanza per farmi gli auguri, proprio allo scoccare della mezzanotte. Avevo finto di dormire. Non sarei mai riuscita a rimanere impassibile, quando non avevo fatto altro che pensare ad Alex per tutto il tempo.

Non mi ero fidata di lui. Forse per questo il mio comportamento aveva ferito così profondamente entrambi. Perché quando mi ero sentita con le spalle al muro, con solo una manciata di ore per mettere in atto il mio piano, avevo dato per scontato che lui mi avrebbe fermata e non avevo accettato di assumere quel rischio. Avevo deciso io per entrambi, quella era la verità, ed era proprio ciò che io stessa non gli avevo mai perdonato nei mesi scorsi.

Quelle riflessioni mi avevano tenuta sveglia per ore, tanto che a un certo punto mi ero chiesta se anche Alex stesse pensando a me. Se stesse pensando a come avessi rovinato tutto, al fatto che avremmo dovuto festeggiare insieme. Credevo di sì, credevo che avesse pensato a me almeno un pochino, soprattutto perché fino a qualche giorno prima sembrava così disposto a immaginare un futuro insieme da pensare addirittura di prendermi un regalo. Quella speranza mi aveva fatto battere il cuore, nonostante il dolore, nonostante non sapessi cosa fare per sistemare la situazione. Ma tutto ciò non aveva importanza e, anzi, dovevo smettere di pensare a lui. Avevo mandato tutto a rotoli e sapevo cosa accadeva alle persone che tradivano la sua fiducia: semplicemente, venivano escluse dalla sua vita e sapevo che quello fosse il trattamento che avrebbe riservato anche a me.

Cercai di ricacciare indietro le lacrime, ricordandomi che ero a scuola e non potevo mettermi a piangere di fronte a tutti. Mi concentrai sul rispondere a mio padre, che stava organizzando una sorta di cena in famiglia per quella sera. Non sapevo proprio come evitare di dover festeggiare con lui e con Lauren, ma ero consapevole di aver bisogno di una via di fuga, soprattutto perché temevo le domande della sua fidanzata. Era un avvocato e dentro di me sapevo di poter contare sulla sua discrezione, ma ero altresì certa che avrebbe cercato di capire perché le avessi posto tutte quelle domande sull'annullamento dei contratti e sulle firme effettuate dai minorenni.

Non potevo pensarci in quel momento, però. Ero riuscita ad evitare lo stage quella mattina, solamente perché Caleb aveva finto che entrambi avessimo un compito in classe. Smith mi era sembrato impaziente al telefono, ma aveva confermato la sua volontà che mi concentrassi sullo studio e si era bevuto la nostra scusa. In realtà, non sapevo esattamente che fine avesse fatto Caleb. Era sparito per tutta la giornata e mi aveva dato appuntamento per le quattro, ancora una volta in biblioteca, proprio dove avevamo iniziato a cospirare insieme la prima volta.

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