Extra - Alex

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Extra – Scena nel laboratorio di chimica dal punto di vista di Alex (Capitolo 1 di Nocte)





Trentadue fottuti giorni.

Fisso l'angolo del corridoio dove Cassie è appena sparita, cercando di non prendere a pugni l'armadietto. Trentadue fottuti giorni da quando quella squilibrata di sua zia è riuscita a metterle in testa che deve evitarmi.

«Amico, sei pronto per la partita?».

Philip cerca di mettermi un braccio attorno al collo, ma lo scanso. Da quando sono rientrato nella squadra, non mi dà pace. Sono ancora convinto che sia una stronzata e che dovrò pagare il conto di questa decisione, ma è l'unica alternativa che mi impedisce di fare qualche cazzata. E io non posso più mettermi nei guai, da quando Cassie è entrata nella mia vita.

«Sarà una figata tornare in campo insieme» insiste lui, tirandomi un pugno amichevole sul braccio. «Io, te, Dean, Caleb...».

Non lo ascolto più. Scatto verso il lato opposto dell'atrio, imboccando il corridoio dei laboratori. Non so che lezione abbia, non so se sia in compagnia di Alice, ma questa cosa finisce oggi.

Ci metto poco a individuarla, ancora meno a verificare che il corridoio sia vuoto. Quando le appoggio una mano sulla schiena, sobbalza e riesco a malapena a spingerla all'interno del laboratorio di chimica, prima lasci la presa sul suo zaino. Il tonfo della caduta si somma a quello della porta, che chiudo con una manata.

«C-cosa?» balbetta, ma si zittisce subito quando i suoi occhi mi trovano.

Cazzo. Avevo dimenticato che effetto mi facesse. Avevo dimenticato come fosse in grado di cancellare tutta la mia fermezza con un solo sguardo. Mi osserva in silenzio, con le labbra schiuse e un'espressione cauta. Sono grato però di vedere le sue guance tingersi di rosa, perché altrimenti non saprei cosa pensare di quella reazione.

Ho passato gli ultimi giorni imponendomi di evitarla. Di non guardarla, quando la vedevo entrare in mensa o in palestra. Continuava a sbattermi in faccia come stesse andando avanti con la sua vita e io stavo fingendo di essere abbastanza maturo da rispettare la sua decisione. Adesso, però, non me ne frega più un cazzo di essere maturo. Voglio solo mandare tutto a monte.

So di averlo fatto, nell'esatto momento in cui le accarezzo la guancia. Non riesco a non toccarla. Non quando mi guarda come se volesse fare lo stesso. Non quando ogni curva del suo corpo mi ricorda cosa significa abbracciarla, baciarla...

Chiudo gli occhi e inspiro lentamente. Non devo fare niente che lei non voglia. Devo ricordarle che con me è al sicuro. So che è per questo che si fida e non le farò cambiare idea.

«Ciao» sussurra e io m'impongo di farmi scivolare addosso la sua voce, come se non fosse in grado di piegarmi con quattro stupide lettere.

Mi limito a osservarla, non voglio dire niente che possa allontanarla. Ho la sensazione di aver appena ripreso a respirare dopo un mese in apnea e, da come mi fissa, sembra che per lei sia lo stesso. La vedo spostare gli occhi sul mio viso come se stesse cercando di capire qualcosa. Vorrei dirle che non è cambiato niente, ma sono troppo egoista per sprecare il nostro tempo parlando.

Mi avvicino ancora e lascio che il pollice scorra dalla sua guancia al mento. La sento tremare, sento la pelle che freme e il suo respiro che accelera.

Si schiarisce la voce e riprova a parlare: «Va tutto...».

Premo la mia fronte sulla sua e sento quelle parole morirle in gola. Vorrei dirle che niente va bene, che non so cosa cazzo stiamo facendo, ma resto zitto di nuovo. Ancora una volta, troppo terrorizzato all'idea di farla scappare per pensare di rispondere a quelle domande. 

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