58 - La chiave di volta (III)

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Quella mattina, il centro di Danvers era un pigro via vai di anime solitarie. La linea dell'orizzonte gettava riflessi rosa e tremolanti sulle basse costruzioni che costeggiavano la via principale. Era come se qualcuno avesse intinto un pennello nell'acqua, curandosi di sfumare delicatamente le nuvole pallide. La maggior parte dei negozi era ancora chiusa, ma da qualche vetrina filtrava la luce fredda delle lampade al neon.

Mi strinsi nel giubbino, affondando le mani nelle tasche e abbassando il collo per coprirmi dal vento gelido. Non mi svegliavo così presto da quando mio padre mi aveva costretta ad andare in campeggio con lui, ed erano passati circa due anni da quel giorno.

Sollevai lo sguardo, mettendo a fuoco il locale che stavo cercando e, dopo qualche rapido passo, fui costretta ad abbandonare il calore del giubbino per premere i palmi sulla porta d'ingresso. Era ancora parzialmente ghiacciata, ma quando si schiuse, una vampata di aria calda mi avvolse insieme al profumo del caffè. Strofinai le mani tra loro per scaldarle, mentre osservavo l'ambiente modesto e funzionale nel quale ero appena entrata. Era una caratteristica comune, nei diner di quella zona.

Mi guardai attorno per un po', finché non individuai il ragazzo che stavo cercando. Portava uno spesso maglione di lana ed era perennemente chinato su una montagna di libri, con il naso che quasi lambiva le pagine.

«Ciao, Matt» lo salutai, prendendo posto sul divanetto in pelle rossa di fronte a lui. Poi adocchiai i pancakes ricoperti di sciroppo d'acero e la tazza di caffè fumante, dalla quale salivano lente spirali di condensa. La presi. «Sono contenta che tu abbia già ordinato la colazione per tutti».

La confusione era una trama leggera che contorceva i suoi lineamenti. Erano quattro mesi che io e Matt non ci vedevamo. L'ultima volta che avevamo parlato mi aveva riempito la testa di nozioni astronomiche, mentre entrambi ignoravamo le spiegazioni del professor Webb. Era allora che avevo scoperto di Cassiopea, e sembrava passata una vita intera da quel giorno.

Lo vidi schiudere le labbra, ancora evidentemente perplesso, quando un'ombra si stagliò su di noi. Voltammo il capo in tempo per vedere Alex afferrare una sedia dal tavolo vicino. La trascinò senza preoccuparsi del rumore che stava producendo e non si fermò finché lo schienale non fu a contatto con il tavolo. Poi, si sedette all'incontrario, con le gambe divaricate e i polsi mollemente intrecciati davanti a lui. Era una recita. Alex era tutto fuorché rilassato e Matt dovette accorgersene, perché lo vidi deglutire piano.

«Ciao ragazzi» mormorò, prima di schiarirsi la voce.

Aveva parlato con tono flebile e incerto, perché era evidente che non ci aspettasse lì. Difatti, gli avevamo teso un'imboscata nella sua caffetteria preferita, proprio quella che utilizzava per studiare prima delle lezioni. Era stata Alice a parlare. Dopo aver ammesso di aver mandato un messaggio a Michael per sfogarsi, generando tutto il dramma del Wenham Lake, era diventata inconsolabile. Non che fosse davvero colpa sua, perché Michael e gli altri ci tenevano d'occhio già da un pezzo, per quello erano riusciti a trovarci anche se Alex aveva comunicato una falsa destinazione a tutti: ci avevano seguiti fin dall'inizio. Ciò, però, non aveva minimamente lenito il senso di colpa di Alice.

Aveva pianto sulla mia spalla per ore, mentre la rassicuravo del fatto che non fossi arrabbiata con lei, perché sapevo che se avessi parlato fin dall'inizio avrebbe potuto aiutarci. Ma era stato difficile fidarsi prima di Alex, poi di Philip e di Christian, e una parte di me aveva sempre pensato di proteggerla in quel modo.

Alice non aveva accettato le mie rassicurazioni. Non finché non si era rivelata utile, passandoci tutti gli orari di Matt. E quello ci aveva concesso di essere lì: per una volta compatti, nella posizione d'attacco.

Dato che nessuno di noi aveva risposto, Matt finì per lanciare ancora un'occhiata alla tazza avvolta tra le mie mani. Probabilmente si stava chiedendo cosa stesse succedendo, ma saggiamente non commentò.

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