44 - Tradimento (IV)

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Intimidatorio. 

Avevo cercato a lungo la parola adatta per descrivere l'ufficio di Smith. Nonostante le pareti rosse, era abbastanza spazioso per non apparire claustrofobico, ma tutto in quella stanza, dall'imponente libreria alla lunga finestra in ferro battuto e persino l'elegante scrivania sormontata da fascicoli ordinati, aveva la funzione di far sentire a disagio l'interlocutore.

Non mi sentivo più così.

Presi posto sulla poltrona imbottita, rigida e scomoda, mentre l'osservavo terminare una telefonata. Non so perché, ma avevo l'impressione che, dal giorno della firma, avessimo abbassato parzialmente la maschera dietro cui entrambi ci eravamo nascosti. Credevo che la mia reazione fosse stata evidente tanto quanto la sua: Smith voleva che firmassi, mentre io non lo volevo affatto. Ne ero consapevole io, e ne era consapevole lui. O almeno così credevo, eppure quando chiuse la telefonata, il mio volto impassibile incontrò il suo candidamente entusiasta.

«Cassandra» mi accolse dolcemente, piegando di poco il capo. Un ricciolo biondo slittò rigidamente sulla tempia. «Che piacere vederti».

Eravamo tornati alle formalità. A quel punto, avrei dovuto rispondere allo stesso modo: un sorriso, un commento cortese e totalmente inutile e la mia solita espressione educata. Ma forse a me non andava più di stare al suo gioco. Non risposi e mi limitai a guardarlo fisso in attesa di un'indicazione sul perché mi avesse portata in quella stanza.

«Abbiamo ricevuto un ottimo riscontro nel Maine» m'informò compiaciuto, estraendo un fascicolo da un contenitore in metallo. Lo aprì, sfogliando le pagine velocemente. «Sembra che questo fronte unito degli Stati costieri piaccia agli elettori». Mi porse un foglio, tuttavia la sua attenzione non era tanto puntata su di me, quanto sui numeri scritti in grassetto.

«Ne sono contenta» replicai cauta. Ma sapevo che non fosse quella la motivazione per la quale mi aveva chiamata. Quando mai aveva condiviso i dettagli della sua campagna elettorale? Voleva sempre parlare di me, di mia madre, della mia infanzia...

«Posso chiederti di controllarli con Michael?» continuò imperterrito, risistemando il tutto nella cartelletta.

Il cordino che teneva chiusi i lembi di cartone vibrò, mentre Smith impiegava un'immotivata attenzione per risistemarlo al suo posto. Avrei voluto dirgli di smetterla di girare intorno a qualsiasi cosa volesse riferirmi. Michael mi aveva già informata che avremmo lavorato insieme, e Smith non si era mai degnato di spiegarmi di persona i miei compiti durante quello stage. Toccava a Kat, di solito. Non capivo quindi perché avesse iniziato proprio in quel momento, ma tutto divenne estremamente chiaro qualche istante dopo.

«Volevo inoltre informarti» riprese, con un misto di trepidanza e attesa sul suo volto, «che la pratica per il cambio del tuo cognome è stata depositata».

Cosa?

Quella domanda mi rimase bloccata in gola, ma non potei impedire ai miei occhi di spalancarsi. Credevo che ci sarebbero volute settimane per protocollare la richiesta. Lauren stessa mi aveva detto che, seppur fosse un iter semplice, necessitava di più passaggi. Di certo non aveva parlato di giorni.

Pur non avendo preventivato di trovarmi impreparata a quell'informazione, le sue parole mi avevano fatta rimanere in un imbarazzante silenzio per troppi secondi.

«Sono stati veloci» mi costrinsi a mormorare, concentrandomi sul mantenere quell'aria stupita, per non mostrare il terrore che si nascondeva sotto.

Tutti tentativi inutili. La mia sorpresa, infatti, non aveva lontanamente minato l'entusiasmo di Smith. Anzi, scorsi un accenno di orgoglio per il modo in cui era riuscito a prendermi in contropiede. Ancora una volta, aveva completamente travisato la mia reazione. 

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