Prima di arrivare a Danvers, non mi ero mai davvero soffermata su cosa significasse per me la parola "destino". In generale, ho sempre avuto l'impressione che non fosse un concetto particolarmente amato dalle persone. Distruttivo e totalizzante, avevo la sensazione che non facesse altro che mettere costantemente in luce la nostra incapacità di controllare gli eventi futuri. E io sapevo bene, quanto il genere umano fosse naturalmente propenso a evitare tutte quelle componenti che hanno a che fare con il dolore e con l'incertezza.
Nel mio caso però, ho sempre avuto la percezione che quel mio rifiuto avesse un lato più... subdolo.
In un ragionamento prettamente matematico, quando passi la vita a girare per il mondo, sei consapevole di fronteggiare un numero di imprevisti maggiore, rispetto a quelli di una persona media. Sai di spingerti su un sentiero più pericoloso, fatto di più spostamenti e di un numero altrettanto alto di variabili. Tuttavia, quell'incessante peregrinaggio è in grado di inebriarti a tal punto da distorcere la tua percezione dei pericoli, mutare il peso che dai ai rapporti umani e, in qualche modo, falsare la realtà.
E così, la consapevolezza di non avere a che fare con l'abitudinarietà ti illude di essere dispensato da un prezzo che gli altri devono invece pagare. In una mera sostituzione d'onnipotenza, finisci per sentirti quasi più veloce della vita stessa. Quasi potessi giocare a fare Dio.
Eppure, mentre ero lì a fissare quella porta bianca, chiedendomi se fosse il caso o meno di bussare, mi resi conto che, nonostante gli infiniti viaggi, nonostante le incessanti fughe, Danvers era comunque riuscita a prendersi gioco di noi.
James aveva passato una vita intera a scappare dal ricordo di Elizabeth e da una verità che alla fine era comunque riuscito a trovarlo. Mentre io, in quel preciso istante, stavo correndo nella direzione opposta, proprio da quello che, secondo tutti i racconti di Jenna e di Philip, doveva essere l'antitesi del mio destino: Alex.
Mi costrinsi a suonare il campanello con l'elegante scritta "Case" in fretta, fingendo di non riflettere su quell'azione. Perché ero fin troppo consapevole che, a mente lucida, probabilmente avrei finito per chiudermi come al solito nel mio rassicurante ma distaccato guscio.
«Ciao coinquilina».
Quelle erano le prime parole che sentivo da diversi minuti e impiegai alcuni lunghi istanti a realizzare che il volto di fronte ai miei occhi non fosse affatto quello di Alex, ma apparteneva invece a Christian.
Mi salutò con un sorriso sornione, scostando alcuni riccioli biondi, mentre con un braccio teneva ferma la porta tra di noi. A giudicare dal guizzo delle sue labbra, non sembrava affatto sorpreso della mia presenza nel loro vialetto curato.
Quando però i suoi occhi misero a fuoco il mio viso, vidi la sua espressione da gradasso mutare velocemente, facendosi più circospetta. Aveva aggrottato la fronte, mentre le labbra si erano schiuse in un'espressione disorientata, che mi faceva venir voglia di ridere. Perché dovevo avere un'aria davvero distrutta, se persino lui rinunciava a prendersi gioco di me.
A quella consapevolezza, percepii uno strappo all'altezza del petto. Come una scossa dettata dal pudore, tale da riportarmi alla realtà. Christian non doveva sapere niente di ciò che stava succedendo, quindi prima che potesse aggiungere qualcosa, mi affrettai a parlare.
«Ciao, avrei bisogno di vedere Alex, se c'è» farfugliai, provando a esibire un sorriso rilassato, nonostante la pesantezza dei miei muscoli facciali.
Si limitò ad annuire, spalancando la porta e facendomi cenno di entrare con la testa. Credevo di essere stata convincente, perché senza dire una parola, Christian si era diretto verso la cucina, ma prima di superare le colonne bianche vidi i suoi piedi arrestarsi nuovamente.
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NOCTE
Mistério / SuspenseSEQUEL DI IGNI C'è un equilibrio indissolubile che governa ogni cosa nel mondo. Non c'è gioia senza dolore. Non c'è silenzio senza rumore. Non c'è luce senza ombra. Fu in quel preciso istante che capii. Ero io. Ero sempre stata io, il punto di c...