42 - Tradimento (II)

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Non renderti ridicola.

Il monito di Alex aveva cancellato tutto ciò che c'era stato tra di noi. Cancellava tutti i passi in avanti che avevo fatto per fidarmi, per accettare che valesse la pena lottare e persino farsi del male, per avere lui. Per avere noi.

Non renderti ridicola.

Ricacciai dentro di me l'umiliazione, insieme al dolore lacerante che mi aveva lasciata inerme e svuotata, al centro di quella stanza.

Finiva così? Mi chiesi dopo aver visto la porta chiudersi alle sue spalle. Finiva senza una spiegazione, senza una giustificazione? Senza neppure che potessimo parlare per un paio di minuti, per permettermi di capire cosa diavolo fosse successo?

Inspirai profondamente, osservando il soffitto irregolare del polo sportivo della Churchill Accademy, e ripetendomi una volta ancora che avrei potuto farcela. Sentivo la bocca arida e il cuore che batteva sottopelle, come se volesse scardinarsi e scappare via da me. Scappare via da quella situazione. Beh, in fondo, lo volevo anche io.

Passai le dita sotto agli occhi, ripercorrendo la rima inferiore per impormi un contegno che sapevo di non avere. Dovevo tornare a casa Parker, dire a mio padre cosa stava succedendo e implorarlo di andarcene via, prima che Danvers risucchiasse ogni fibra del mio corpo, ogni fibra della mia anima.

Tornai sui miei passi, facendo scattare la maniglia della porta e imboccando il corridoio che avevo percorso poco prima. Sarei potuta anche andare a Londra da sola, mi dissi. Non serviva che James mettesse a repentaglio la sua relazione con Lauren. Qualche esame online e avrei avuto sufficienti crediti per iscrivermi all'università. Sarei tornata a casa e avrei potuto fingere che quella parentesi nel Massachusetts non fosse mai esistita. Basta indagini, basta pericoli, basta cercare di risolvere i problemi degli altri.

In quel frangente, però, proprio mentre superavo il mio armadietto e quelli dei miei amici, mi ricordai di non essere l'unica a dover affrontare un destino che sembrava già segnato. Osservai la "A" incisa su quello di Alice, dove Dean aveva cercato inutilmente di aggiungere anche la sua iniziale, prima di ricevere uno scappellotto da Caleb. Cercai con gli occhi quello di Philip, che sapevo essere perennemente vuoto, perché probabilmente non aveva mai aperto un libro da quando era entrato nella squadra di football.

Li avrei davvero lasciati a combattere da soli? Come sarebbe finita per loro? Forse con il college sarebbero riusciti a scappare da quella situazione, ma fino ad allora?

Dopo quelle domande, sola, in quell'atrio deserto, dovetti ammettere a me stessa che se anche fossi riuscita ad andarmene da Danvers, una parte di me non si sarebbe mai perdonata finché non li avessi saputi tutti al sicuro.

Non dovetti però trovare un compromesso con la mia stessa coscienza, perché all'improvviso dietro di me una voce calorosa rimbombò come un tuono.

«Eccoti, Cassandra».

L'avevo riconosciuta ancora prima che terminasse di pronunciare il mio nome. Anzi, forse ancora prima, quando una sottile vibrazione aveva allertato i miei sensi del pericolo in cui ero incappata. Ma a quel punto, era già troppo tardi per tornare indietro.

Al lato opposto dell'atrio, il sindaco Smith mi osservava con assoluto compiacimento, mentre il preside Evans sorrideva gratificato da quell'incontro famigliare. Accanto a loro, solamente Michael e un'unica espressione in viso: quella da traditore.

No, no, no! Quella era l'unica replica che sentivo rimbombare nella mia testa, perché non potevano fare così: presentarsi a scuola e tendermi un'imboscata. Quello era il giorno che avevo guadagnato per evitare di dover firmare!

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