Rinnegato -parte seconda-

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Non era difficile sapere dove fosse Lucifero. Lilith lo trovò nel grande salone principale dell'hotel, seduto a terra che si osservava nel riflesso delle grandi vetrate sulle pareti. Era notte, il buio era totale se non per qualche luce esterna e i fari delle macchine. Lei non gli parlò, rimase in piedi a fissarlo con il proprio piccolo in braccio.

"Vorresti tanto dirmi una cosa, vero?" mormorò lui "Un: te lo avevo detto, o simili?".

"Sono una tentatrice, non una torturatrice" rispose Lilith.

"È andata via. Non la percepisco più. Ha lasciato l'hotel".

"Posso dire: meglio così? Guardati. Come sei ridotto".

"Me la caverò. Come ho sempre fatto".

"Con qualche pezzo in meno... pezzo dopo pezzo, ti farai ammazzare".

Lucifero si fissò, piegando leggermente la testa. La sentiva estremamente leggera senza le corna. Ricordava la prima volta che le aveva viste, quando erano spuntate, e le aveva odiate. Ma ora ne sentiva la mancanza.

"Quello non conta. Sono ufficialmente un figlio di nessuno. Non potevo chiedere di meglio, al momento".

"Quante cazzate!".

Lilith sedette accanto al re, che continua a inclinare il capo a destra e sinistra, ancora leggermente accecato dalla luce divina e stordito dall'emorragia.

"Perché non torniamo a casa?" propose lei "Nostro figlio è un demone, starà benissimo all'Inferno. E se lei è tornata in Cielo...".

Lucifero si voltò verso il piccolo, che ricambiò lo sguardo incuriosito.

"Ma tu vuoi crescerlo da sola, o sbaglio? Puoi anche ignorare questo folle, che di certo avrebbe bisogno di un dottore molto bravo, che insegue mulini a vento pensando a una Dulcinea che lo prende a calcio nel sedere".

"Non ho voglio di ignorare questo pazzo. Testardo, idealista, idiota quanto basta. Perché dovrei? Ci sono già stata tutte le volte".

"Proprio tutte quante...".

Lilith gli si poggiò contro la spalla, con un mezzo sorriso.

"Da quando sei così tenera, Lilith?".

"Non sono tenera, vecchio rottame!".

La coda del demone si mosse, emettendo un suono sordo contro il pavimento lucido.

"Tornare all'Inferno..." si fermò a riflettere lui.

Il bambino emise un piccolo verso. Il ciuffo ramato che aveva in testa era buffo e si arricciava leggermente. Gli occhi erano quelli del Diavolo e brillavano nel buio. Inaspettatamente, Lucifero allungò il braccio e lo prese tra le braccia, osservandolo con una punta d'orgoglio. Mai aveva preso in braccio un neonato e mai si sarebbe aspettato di farlo. Il piccolo era perplesso, chiedendosi chi fosse quel tizio che lo fissava.

"Non so se voglio lasciare questo posto" ammise il re "Mi piace. Ma se vorrai andarci con il piccolo, lo capirò".

Porse l'indice al neonato, che morse e succhiò il sangue avidamente.

"A me basta che sparisca quell'albero di Natale" sbottò Lilith, indicando l'abete addobbato nel salone.

"E facciamolo sparire!".

Lucifero si alzò in piedi, tornando il bambino alla madre. Poi allungò una mano verso l'albero che si contorse. Gli addobbi si deformarono e caddero, in migliaia di frammenti di cristallo. Lilith rimase in disparte, osservando quello spettacolo. Il demone contrasse le dita e lei percepì tutta la rabbia che scorreva fra quelle mani e colpiva l'abete poi avvolto dalle fiamme. Con uno scatto, le fiamme si dissolsero e dell'albero non rimase nulla. Gli addobbi si dissolsero in minuscole particelle e andarono a decorare il soffitto come piccole stelle.

"Ti senti meglio?" chiese lei.

"Come si dice... lo spettacolo deve continuare, giusto? È che questa volta pensavo di aver preso la decisione giusta. Sarebbe una cosa così folle?".

"Non sono le decisioni ma le persone con cui hai a che fare. L'idea del mondo nuovo non è una decisione sbagliata".

"E allora che altro dovevo fare?! Quel che ho fatto era l'unico modo, giusto?".

"Non ne ho idea. Ma hai fatto quel che ritenevi giusto, incredibilmente senza pensare a te stesso e tentando la strada per dare il meglio ai tuoi figli".

"E allora perché sono qui, con due buchi nel cranio e senza i figli per cui ho affrontato perfino la luce di colui che non mi considera più figlio? A cosa è servito?".

"Non sei più figlio di Dio. Non sei contento di questo?".

"Sinceramente a me non cambia un cazzo. Vero è che nessuno potrà più rompermi i coglioni parlando del Padre".

"Lo so che tu lo hai fatto per i gemelli. E per lei. Ma..."

"Ma... lasciamo perdere!".

Spalancò le ali, osservando anch'esse nel riflesso delle vetrate. Erano ancora rovinate dopo la notte della tempesta, la mano sinistra contratta che lanciava fitte doloranti, il cranio pulsante e la vista annebbiata. Come aveva permesso a una donna di ridurlo così? Sentì una tale rabbia crescere dentro e Lilith di certo non tentava di trattenerlo mentre attorno a lui tutto pareva tremare e scricchiolare.

"Lucifero" chiamò una voce.

Lui si voltò di colpo, con lo sguardo fiammeggiante rivolto a colei che rimaneva in piedi sulla porta d'ingresso del salone: Sophia.

"Lucifero" lo chiamò di nuovo, spalancando le braccia "Sono qui. Odiami. Odiami per tutto quel che ti ho fatto. Odiami".

"Ma che stai..." provò a dire Lilith, poi capendo che era meglio stare zitta.

Lui fissava Sophia con gli occhi infuocati.

"Hai diritto di odiarmi" continuò la Sapienza "Perciò fallo. Sono qui. Lui mi ha detto tutto. Mi ha detto perché ora non siamo suoi figli. Mi ha riferito ogni singola parola uscita dalla tua bocca. Mi ha mostrato quanto il tuo cuore abbia provato fin ora. E quindi hai tutto il diritto di odiarmi".

"Tu sarai sempre sua figlia".

"Non voglio più esserlo. Per creare un nuovo mondo. Per i nostri figli. Per te. Sono la Sapienza, eppure non ho capito. Sono stata una sciocca, sadica nel tormentarti e non comprendere quanto il tuo animo soffrisse fin dal primo momento. Cieca. Egoista. Stronza. Lilith ha ragione. Lilith ha sempre avuto ragione. E se tu vuoi, me ne vado immediatamente. Ma vorrei che prima sfogassi tutta la tua rabbia e frustrazione su di me, causa di tutto. Fai ciò che vuoi. Sfregiami, rovina il mio volto, le mie ali e la mia anima, così come io ho fatto con te. Sono qua".

Il demone frustò la coda, con rabbia. Il dolore non lo faceva ragionare e si avvicinò a lei. Sophia trattenne il fiato, chiudendo gli occhi.

"Dovrei..." ammise lui "Dopotutto è il mio dovere punire i colpevoli".

"E io sono colpevole! È tutta colpa mia! Non chiedo il perdono, perché non lo merito. Odiami. Merito di essere odiata. Merito di sentire su di me tutta la tua ira".

Lilith era rimasta immobile, non sapendo cosa aspettarsi. Lucifero era spaventoso e lei terrorizzata. Vide le lacrime sul viso della Sapienza.

"Mi dispiace tanto" ripetè Sophia "Fammi provare il tuo stesso dolore. Lo merito".

"Non hai voluto indietro l'aureola?".

Sophia scosse la testa.

"Perché? Non te l'ha concessa?" incalzò lui.

"Lui era pronto ad accogliermi. Accogliere me e i gemelli. Era pronto a ridarmi l'aureola. Ma ho fatto la mia scelta. E ho scelto te".

"Sei... pazza".

"Tanto quanto te. O forse di più".

Lui non la lasciò andare. Lei non dissolse lo sguardo, nonostante fosse spaventoso. Si baciarono come se ne avessero un disperato bisogno e Lilith ruotò gli occhi al cielo, rassegnata. A che serviva ragionare? Tanto lui con il cervello non era più in grado di formulare pensieri intelligenti!

Satan' Speech -L'Hotel del Diavolo- ☆ Completa ☆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora