7° capitolo - mi piaci

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Rientrai in casa, e trovai Tommaso seduto sul divano a giocare alla play.

"Ciao Tommy", gli dissi, cercando di dimostrarmi più normale possibile.

"Ciao amore", mi rispose.

Sentirmi chiamare così fu come una pugnalata in pieno petto: mentre io mi trovavo a casa di Paulo Dybala, e facevo sesso con lui, Tommaso rientrava dal lavoro come ogni giorno e, non trovandomi, in mancanza d'altro, si era seduto lì a giocare.

Prima di varcare la soglia di ingresso del mio appartamento, mi sentivo libera, come non lo ero mai stata: percepire ancora il calore della pelle di Paulo sulla mia, le sue labbra, il suo profumo, mi facevano sentire bene, come non lo ero mai stata.

Mi sentivo come in un universo parallelo, in un mondo perfetto, dove tutto ciò che importava non era altro che il tempo trascorso con La Joya.

La Joya.

Anche solo pensare a quel nome, provocava in me sentimenti contrastanti, mai provati prima.

Da un lato volevo tornare da lui, correre tra le sue braccia, per provare ancora una volta tutto ciò che avevo provato nell'ora appena trascorsa, ma dall'altro mi sentivo incredibilmente sporca, malvagia. Avevo tradito la persona a cui più tenevo al mondo, e non ero nemmeno stata in grado di pentirmene subito.

Dove era finita la vera Sofia, quella che non avrebbe mai fatto del male ad una mosca senza preoccuparsene? Dov'era finita la brava ragazza, diligente, la figlia che tutti vorrebbero avere?

Osservai il mio volto riflesso sul vetro di una finestra. Ero diversa.

Mi sedetti accanto a Tommaso, come se questo gesto potesse in qualche modo sopperire a ciò che avevo fatto.

"Com'è andata al lavoro?", gli chiesi, sorridente.

Mi narrò per sommi capi ciò che gli era successo, poi mi chiese cosa avessi fatto io.

Sentii il battito del cuore accelerare, e una vampata di calore invadermi.

"Sono andata al lavoro... mi hanno trattenuta un sacco, sai com'è, con quella storia del progetto della sede della Roma, sono tutti isterici"

Tommaso rise, e mi abbracciò.

Sentii il mio corpo fremere a quell'abbraccio. Non era più la stessa cosa.

Poi il mio fidanzato mi baciò, scendendo sempre di più, e lasciando sul mio collo una scia di baci umidi.

No, non potevo farlo. Mi staccai da lui, dicendo che avevo molta fame, e che era il caso di preparare qualcosa per la cena.

"Che scusa idiota", pensai dentro di me, mentre mi giravo verso la cucina, lasciandomi alle spalle un Tommaso allibito.

Quando mai gli avevo detto di no prima d'ora? Mai.

Per tutta la sera non riuscii a guardarlo negli occhi, temendo che in qualche modo potesse leggermi nel pensiero, capendo ciò che avevo fatto.

Quella notte non chiusi occhio, tormentata dai pensieri del pomeriggio. Non appena riuscii ad addormentarmi, mi ritrovai a sognare Paulo, con quei suoi meravigliosi occhi verdi che mi osservavano, mi cercavano, le sue mani che accarezzavano ogni parte di me.

Mi svegliai di soprassalto.

"Tutto bene?", mi chiese Tommaso, che si era svegliato.

Annuii.

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Uscii di casa verso le otto, respirando a fondo.

L'aria del mattino mi fu di netto aiuto per respingere i pensieri della sera precedente.

Il sole e la luna II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora