44° capitolo - come suo padre

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Mi svegliai, finalmente serena, per la prima volta dopo mesi.

Era il giorno fatidico, in cui avrei detto a Paulo ciò che provavo per lui, in cui gli avrei chiesto di tornare con me.

L'avrei fatto anche in ginocchio, se si fosse rivelato necessario.

Decisi di farlo quella sera, facendogli una sorpresa, e andando a casa sua con una cenetta pronta, insieme a nostra figlia.

Facendo colazione accesi la musica, e ballai felice per tutto l'appartamento, finalmente libera da qualunque peso.

Portai Iris all'asilo nido e girai per la città, camminando, facendo chilometri e chilometri senza nemmeno rendermene conto, senza riuscire a sentire la fatica di tanta strada.

Tutto mi sembrava più luminoso, persino la luce del sole.

Non potevo negare di avere un po' di ansia per quella sera, ma sapevo che tutto sarebbe andato per il meglio. In fondo solo qualche giorno prima Paulo aveva chiaramente detto di amarmi ancora. Non ci sarebbero stati problemi.

Feci shopping, pensando all'outfit perfetto per quella sera, per farlo cadere ai miei piedi come ai vecchi tempi, quando il mio scopo era quello di sottrarlo alla tanto vituperata Oriana Sabatini.

Sorrisi. Che ricordi.

Era passata una vita dai nostri primi incontri, ed era successo veramente di tutto.

Quando giunse il momento di andare a prendere Iris all'asilo, decisi di andarci a piedi. Camminavo sempre quando ero felice, in compagnia delle mie airpods. 

"salve", dissi alla ragazza che sedeva comodamente dietro alla reception. "sono venuta a prendere mia figlia, Iris"

La ragazza mi squadrò. "è già andata via", disse secca.

"in che senso scusi?", chiesi, non riuscendo nemmeno a immaginare una bambina di pochi mesi, che aveva appena mosso i primi passi, che tornava a casa in completa autonomia.

"è venuta a prenderla un uomo", mi rispose, più dolcemente, probabilmente notando la mia perplessità.

 "chi?", chiesi.

"non so il nome. Ha detto di essere uno zio o qualcosa di simile"

"potrebbe almeno descrivermelo?", chiesi, impaziente.

"bah, sarà stato alto sul metro e settantacinque credo, forse leggermente di più. Aveva dei capelli scuri, degli occhi verdi molto belli, e... ah, sì. Aveva un chiaro accento spagnolo."

Sorrisi. "grazie mille", le dissi, allontanandomi, prima che lei mi fermasse nuovamente.

"mi sembrava quasi di averlo già visto da qualche parte", affermò.

Sorrisi dentro di me, pensando: "sì, tesoro. Di fronte a te c'era Paulo Dybala"

"magari era qualcuno di famoso, e non se n'è nemmeno accorta", le dissi, in tono scherzoso.

Rise, e mi salutò.

Uscii dall'asilo e tornai a casa, per prendere la macchina. Sapevo perfettamente dove Paulo potesse aver portato la sua bambina.

Quando parcheggiai nel quartiere in cui viveva, mi guardai un attimo intorno, per scorgere tra il verde degli alberi del parco, Iris, o la Joya.

Ed eccoli là. La bambina era sull'altalena, esattamente come avrebbe fatto sua madre, con il sorriso stampato sul viso, come se tutto, una volta alzati i piedi da terra, potesse scomparire.

E poi c'era Paulo, in piedi, accanto a lei. Sorrideva anche lui. Portava gli occhiali da sole, quindi non potevo leggere la sua espressione. Ero sicura però, che senza quelle lenti scure, avrei scorto degli occhi felici, che si trovavano di fronte la cosa più preziosa che avevano.

Mi avvicinai, lentamente. Quando fui abbastanza vicina perchè Paulo mi sentisse, dissi: "è tutta suo padre".

L'argentino alzò la testa, e mi sorrise. "io direi tutta sua madre, è corsa lei verso le altalene", obiettò ridendo.

Ricambiai la risata, e mi avvicinai ancor di più a loro.

"tranquilla, non le ho detto che sono suo padre", mi disse, a bassa voce, come se Iris potesse sul serio capire il significato di ciò che stava dicendo.

Lo guardai negli occhi. "avresti anche potuto farlo"

Paulo restò in silenzio, cercando di capire se quelle parole avessero un secondo significato.

"sì Paulo, ho lasciato Tommaso. Per sempre, questa volta", ammisi.

"questo vuol dire che..."

Mi avvicinai a lui, e lo baciai. Ci allontanammo leggermente da Iris, senza mai perderla d'occhio, e ci sedemmo su una panchina poco distante da lei.

"quando Oriana mi ha detto che tu e lei... hai capito. Quando  me lo ha detto, mi sono sentita mancare la terra sotto i piedi. Una parte di me dava la colpa a me stessa, diceva che in fondo era ciò che avevo sempre saputo: tu sei Paulo Dybala... sul serio pensavo che saresti rimasto con me tutta la vita? L'altra parte, invece, ti odiava profondamente. Ho persino smesso di guardare le partite per non vederti. Mi dava fastidio tutto di te, dal tuo volto, al tuo modo di fare qualsiasi cosa. Poi, quando l'odio ha lasciato spazio alla malinconia, non potevo fare a meno di vedere di fronte a me l'immagine di te e Oriana, che facevate sesso. Quando ti ho parlato qualche giorno fa, ho capito che mi mancavi terribilmente, e che nulla avrebbe mai potuto colmare il vuoto della mia vita, tranne te. E' stato Tommaso a costringermi ad andare alla partita, per capire i miei veri sentimenti"

"e li hai capiti?", mi chiese, dolcemente, avvicinandosi al mio orecchio.

"sì. Ho capito che ti amo più della mia stessa vita", dissi, lentamente, in modo da scandire bene le parole. "Sono persino riuscita a capirti. Io me ne ero andata, ed io per prima credevo di averlo fatto per sempre. Era normale che cercassi una nuova strada. Sono stata egoista ad arrabbiarmi così tanto"

"non sei stata egoista. Ho sbagliato. Avrei dovuto venirti a cercare subito, e non certo aspettare tutti quei mesi. Invece di piangermi addosso avrei dovuto darmi da fare, e mollare tutto."

Lo baciai. Era incredibile quanto mi fossero mancate quelle labbra sottili, quella lingua, quel profumo di Paulo Dybala, che non avrei potuto trovare da nessun'altra parte.

Era lui l'amore della mia vita, quella metà che avevo sempre cercato e che, finalmente, era venuta a bussare alla mia porta.

Tutto al suo fianco era diverso, più bello, più sereno. 

Aveva infiniti difetti: era permaloso, lunatico, a volte un po' egocentrico... ma ero disposta a perdonarli tutti, dal primo all'ultimo, perchè la sua perfezione superava ogni cosa.

Sapevo che quelle braccia mi avrebbero sostenuta per sempre, senza lasciarmi più, che mi avrebbero fatta volare, tenendomi sempre per mano.

Sapevo che quelle braccia erano la mia ancora, e lo sarebbero state per sempre.

Il sole e la luna II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora