42° capitolo - lo stadio

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"hai sempre amato andare alle partite di calcio, perchè non possiamo andare anche a questa?", mi chiese Tommaso, guardandomi negli occhi, mentre mi porgeva due biglietti.

"non me la sento di rivedere Paulo in campo", ammisi, sperando che potesse comprendermi.

"di cos'hai paura? sono passati sei mesi, dovrai pur dimenticarlo prima o poi", insistette, senza mai smettere di puntare i suoi occhi sui miei.

Stetti in silenzio per qualche istante, per riflettere. In fondo era vero, non potevo trincerarmi dietro quella scusa per sempre: prima o poi avrei dovuto decidere una volta per tutte se volevo Paulo o Tommaso.

"ok", dissi, superando me stessa, "andiamo a questa partita".

Tre giorni dopo eravamo là, sugli spalti dell'Olimpico, ad attendere il fischio d'inizio. Stringevo Iris in braccio, mentre Tommaso era comodamente seduto al mio fianco.

Era stranissimo essere lì, dopo mesi in cui avevo ignorato completamente il mondo del calcio per evitare in tutti i modi di incontrare Paulo, o anche solo di leggerne il nome su una qualsiasi notizia.

All'inizio era stato incredibilmente difficile, sia a causa del mio irrefrenabile amore per questo sport, sia per il fatto che su Instagram tutto girava intorno a questa passione: da coloro che seguivo, ai post suggeriti... ogni cosa riconduceva sempre a Paulo, che fosse anche indirettamente non aveva importanza.

Ora, invece, ero lì insieme a migliaia di persone. Era incredibile come fossi in mezzo a tutti i tifosi, mentre in braccio stringevo la bambina di uno dei loro idoli.

Bambina della quale, purtroppo, nessuno conosceva l'esistenza. 

La osservai, con quei suoi furbi occhi verdi, con i suoi capelli scuri, e le sue guanciotte. Era bellissima, e sembrava la versione rimpicciolita di suo padre.

La abbracciai, stringendola a me, come se questo gesto potesse proteggerla dalla verità, dal fatto che suo padre non era l'uomo seduto al mio fianco, bensì uno di quei calciatori che sarebbero entrati in campo di lì  a poco.

Le spostai una ciocca di capelli dalla fronte e le diedi un bacio.

"tutto bene?", mi chiese Tommaso, mentre la mia mente vagava.

"sì, grazie", risposi, tornando improvvisamente alla realtà.

Mi sorrise, aggiungendo: "è la prima partita di Iris".

"sì", dissi, guardando negli occhi la creaturina seduta sulle mie ginocchia.

Ed eccoli là, una decina di minuti dopo, i calciatori che entravano in campo. Distinsi chiaramente Paulo, con quella sua camminata sicura, mentre rivolgeva i suoi meravigliosi occhi verdi verso il cielo.

Mi sembrava così lontano da me, da quel Paulo che avevo conosciuto, con cui avevo fatto una figlia, come anche da quel Paulo che mi aveva tradita, descrivendomi come un errore.

Per la prima volta, in sei mesi, non vedevo di fronte a me l'immagine della Joya e Oriana che lo facevano.

Sorrisi. Per la prima volta, in sei mesi, lo vidi conquistare sicuro ogni singolo centimetro di quel campo.

Notai che Tommaso mi stava osservando, ma decisi di fregarmene.

Eh già, perchè in quel momento l'unica persona di cui mi fregasse veramente qualcosa non era altro che quell'argentino vestito da calciatore.

Quando l'avevo visto qualche giorno prima, dentro di me era già nato il desiderio di poter tornare a come eravamo prima, ma ora, vedendolo lì, tutto ciò era stato confermato.

Lo amavo, e speravo ardentemente di non averlo capito troppo tardi.

Era incredibile quanto fosse bello e perfetto, in qualsiasi cosa facesse. Continuando ad osservalo, notai un dettaglio del quale avevo persino rischiato di dimenticarmi: il sole.

Era ancora là, infatti, quel tatuaggio che ci eravamo fatti mesi e mesi prima, quando ancora la nostra storia sembrava un sogno ad occhi aperti.

Fu questione di qualche secondo e, senza quasi che me ne rendessi conto, Paulo fece goal, con quella maestria di cui solo lui era capace.

Mi alzai in piedi, esultando insieme alla folla. Abbracciai mia figlia, anzi nostra figlia: mia, e di quel fenomeno in campo.

Fu proprio in quel momento, mentre esultava, con la sua tipica Dybala Mask, che mi vide. Sentii i suoi meravigliosi occhi puntanti su di me, bruciare ogni centimetro della mia pelle.

Dio, quanto erano belli.

Paulo corse verso il bordo del campo, nella mia direzione, e mostrò il braccio sinistro, facendo vedere al mondo intero quel suo misterioso simbolo, quel sole, di cui solo io e lui conoscevamo il significato.

Afferrai la mano di Iris e la mossi a mo' di saluto, in modo che Paulo la vedesse, che notasse come sua figlia fosse fiera di lui, nonostante non sapesse nemmeno chi fosse suo padre.

"ma l'hai visto com'è bravo papà?", chiesi alla bambina, avvicinando il mio viso al suo.

Quando inclinai leggermente la testa di lato, notai lo sguardo cupo di Tommaso che, ovviamente, aveva sentito quella domanda, e aveva notato la luce nei miei occhi.

Ero crudele, certo, ma non mi interessava particolarmente. Ero felice, di aver compreso finalmente l'errore che avevo fatto lasciando Paulo, e nessuno avrebbe mai potuto cambiare il mio umore.

Feci finta di niente, e mi risedetti insieme al resto dei tifosi, notando che gli occhi di Paulo spesso mi cercavano, anzi ci cercavano, perchè insieme a me c'era anche sua figlia, la sua bambina.

Lo salutai con un braccio, mentre avvicinavo l'altra mano alla bocca, per inviargli un bacio.

Lo vidi sorridere.

Era bellissimo, quando sorrideva.

In realtà era bello sempre, anche quando piangeva, o era arrabbiato.

Paulo era Paulo, con la sua perfezione, con il suo accento argentino, con i suoi occhi verdi, con i suoi tatuaggi, con il suo meraviglioso sorriso. Era l'amore della mia vita, colui senza il quale non potevo vivere.

L'avevo capito, finalmente.

Avevo capito che lui per me era come l'ossigeno, come l'aria che scorreva nei miei polmoni. Lui era il mio sole, ed io la sua luna, e sarebbe stato così per sempre.


Il sole e la luna II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora