38° capitolo - non scappare

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Quando uscii di casa pioveva. C'era da aspettarselo... in una giornata di merda un tempo di merda.

Non avevo mai smesso di piangere. Camminavo tenendo il borsone appeso ad una spalla, la bambina in braccio, mentre con una manica cercavo di asciugare le lacrime che ormai avevano bagnato completamente il mio volto, creando sulle guance delle righe nere di trucco.

Vedevo intorno a me le persone guardarmi. Probabilmente si stavano chiedendo perchè una donna stesse piangendo e camminando senza ombrello in mezzo alla pioggia, portando con se una bambina.

A nessuno però venne in mente di chiedermi se avessi bisogno di aiuto, se fosse tutto a posto (cosa che, chiaramente, non era), o anche solo per chiedermi se volessi un cavolo di ombrello.

Mi faceva schifo la gente.

Paulo per primo.

Mi ero pentita della lettera che gli avevo scritto: era dolce, e non se lo meritava. In quel momento ogni singolo ricordo che avevo di lui era sparito, lasciando spazio alle orrende immagini di lui e Oriana, che si creavano nella mia mente come in un film.

Se mi avesse amata sul serio, avrebbe dovuto rincorrermi fin dall'inizio, prima che io arrivassi a Conegliano.

Aveva ragione mia madre quando, ai tempi del liceo, mi metteva in guardia dalla mia fissa per i calciatori.

A lei non erano mai piaciuti, e sosteneva che mi avrebbero rovinato la vita.

Detto, fatto. Le sue predizioni si erano avverate, più reali che mai.

Camminando, in qualche modo, mi ritrovai in quel famoso parco, che avevo indicato alla Joya come il luogo di Roma che preferivo. Mi venne un nodo alla gola quando nella mia mente riaffiorarono le immagine di quella volta, ormai mesi e mesi prima, in cui io e Paulo ci eravamo seduti lì, sull'altalena, parlando dei reciproci punti deboli.

Quelli sì che erano bei tempi, quando ero ancora ingenua, quando sbavavo dietro alla Joya come fosse il dio in terra.

Avessi potuto tornare indietro nel tempo mi sarei fermata per avvisarmi, per dirmi di stare attenta.

Eppure ero certa che la me del passato non mi avrebbe mai creduta: ero troppo inverosimile come storia.

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PAULO'S POV

Quando terminai gli allenamenti ero a pezzi, sia perchè erano stati incredibilmente duri, sia perchè non ero riuscito a dimenticarmi nemmeno per un istante la minaccia di Oriana: se non avessi detto io a Sofia ciò che era accaduto, l'avrebbe detto lei.

Corsi via subito, senza nemmeno salutare i miei compagni che mi avevano offerto di fare ancora un paio di tiri con loro.

Sperai che non se la fossero presa, e salii in macchina, andandomene poi sgommando.

Quando aprii la porta dell'appartamento, inizialmente non capii cosa fosse accaduto: era tutto normale, solo che troppo silenzioso.

"sofi?", chiamai, "amore, sono a casa!", ripetei, sperando fino all'ultimo che le mie paure non diventassero di colpo realtà.

Invece lo diventarono.

Girai per tutto l'appartamento, nella speranza di trovare Sofia, Iris, o qualunque cosa che potesse essere sinonimo della loro presenza lì, ma non trovai nulla.

Fu proprio in quel momento che vidi, posata sul tavolo della cucina, una busta, bianca come la neve.

Quando lessi il suo contenuto, l'unica cosa che riuscii a fare fu piangere.

Non piangevo spesso, anzi quasi mai. Ero sempre stato impassibile, avevo imparato ad assorbire il dolore, ad utilizzarlo per rafforzare la corazza che avevo creato per proteggermi dal mondo.

Gli unici momenti in cui avevo pianto, erano stati quelli in cui mi sembrava che la mia vita stesse scivolando via da ogni controllo, come quando fui costretto ad andarmene dalla Juventus.

Ora però, di fronte alla rottura di ogni mia speranza, anche quella corazza si era rotta, lasciando posto al vero Paulo, quello che era anche in grado di piangere, come quando era bambino.

Avvicinai la lettera al mio volto, percependo il meraviglioso profumo di Sofia, impregnato nella carta.

Il momento di debolezza però, durò poco: presi le chiavi della macchina e mi precipitai fuori di casa, sperando di salvare ciò che ormai era destinato alla rovina.

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SOFIA'S POV

Vedere quel parco aveva creato in me un dolore lancinante al cuore, che sapevo essere impossibile da curare.

Mi diressi verso il mio vecchio appartamento, dove probabilmente, vista la mia situazione, avrei alloggiato per il resto dei miei giorni, senza più speranza di potermi trasferire in quei meravigliosi attici che sognavo da adolescente.

Quando entrai, con la bambina sempre in braccio, notai una cosa, un infimo dettaglio di cui non mi ero mai ricordata, e che ora era in grado di tranciare ancora una volta il mio cuore: sul tavolo del salotto c'era una foto, che ritraeva me e Paulo a Laguna Larga, intenti a baciarci, al calar del sole.

La afferrai. Fui lì lì per gettarla a terra, lasciando che il vetro della cornice si rompesse, impedendomi così di vedere i nostri volti felici. Non lo feci.

La riposi dietro ad un mucchio di libri, sulla libreria, e sperai che quegli occhi sereni della foto non venissero mai più in contatto con i miei.

Mi faceva troppo male.

Ormai non riuscivo nemmeno più a piangere: avevo esaurito tutte le lacrime che avevo in corpo.

Misi a letto la bambina, dopo averle dato da mangiare.

Anche se non ne avevo alcuna voglia, constatai che era il caso che mi sfamassi anche io, così mi preparai una misera insalatona, che mangiai seduta sul divano, mentre guardavo la Tv.

Proprio mentre stavo per mettere in bocca l'ennesimo boccone, sentii il campanello suonare.

Fui tentata di restare lì, di ignorare quel suono tremendo, capace solo di perforarmi le orecchie.

Eppure mi alzai, trascinata da una qualche oscura forza che non sapevo di possedere.

Non guardai nemmeno chi fosse, attraverso lo spioncino: in fondo lo sapevo già.

Spalancai la porta, e trovai di fronte a me quei maledetti occhi verdi, che mesi prima mi avevano fatta innamorare, mentre ora mi facevano venire il voltastomaco.

"sofi...", mi disse, ma io lo bloccai.

"non abbiamo più nulla da dirci. Vattene e lasciami in pace"

"ho bisogno di te"

"potevi pensarci prima di portarti a letto quella puttana, e di dire che sono un errore"

"l'ho fatto perchè ti amo", mi disse.

Mi misi a ridere. "bel modo di dimostrarlo"

"mi mancavi, ero ubriaco. Quando l'ho vista ero talmente sbronzo che pensavo fossi tu, così..."

"Paulo sono stanca di essere presa in giro. Se fosse così, non avresti detto quelle cose"

"non ti sto prendendo in giro, Io ti amo"

"non capisci che vederti qui mi sta uccidendo?" , chiesi, sentendo le lacrime ricominciare a scorrere lungo le mie guance. "vattene via"

Detto questo gli richiusi la porta in faccia, e mi abbandonai ancora una volta a terra, lasciando la mia schiena scivolare lungo il freddo legno che mi separava da Paulo.

Lo odiavo, e odiavo me stessa per non aver mai compreso l'errore che stavo facendo.

Il sole e la luna II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora