26° capitolo - cos'ho fatto di male

375 13 0
                                    

Uscii dall'ospedale più confusa che mai, e camminai.

Lasciai la macchina nel parcheggio: avevo bisogno di pensare, e l'unico modo per farlo era quello di indossare le cuffiette e aggirarmi per la vie romane a piedi, totalmente sola e distante dal mondo che mi circondava.

Svoltai decine di angoli, mi trovai in decine di vicoli che mai prima avevo percorso, nella speranza che quella nuova curva potesse mostrarmi la luce.

Solo che ciò non accadeva mai.

Mi sedetti su un'altalena, in un parco, un luogo in cui tante volte mi ero rifugiata per pensare, lasciando che le mie idee scorressero libere nella mia mente, come in un fiume in piena.

Aprii le galleria del mio iPhone, e guardai tutte le centinaia di foto che ritraevano me e Paulo in qualche momento della nostra relazione.

Eravamo così felici insieme: vivevamo in una sorta di mondo parallelo, lontano da tutto e da tutti.

Ora però questo idillio era terminato: d'ora in poi avrei dovuto mettere i piedi per terra, e prendere una decisione definitiva: o Paulo, o il bambino.

Le due cose non avrebbero mai potuto coesistere. Se avessi detto a Paulo di essere incinta, lui avrebbe avuto di fronte a se un bivio: o lasciare me, abbandonarmi al mio destino e tornare ad essere il fedele fidanzato di Oriana Sabatini, o lasciare lei, incappando però nella minaccia di sua madre, che gli aveva detto che se avesse tradito un'altra ragazza, non l'avrebbe più riconosciuto come suo figlio.

Non avrei mai potuto fargli questo... lo amavo troppo per permettere che tutto ciò accadesse.

Se avessi abortito avrei potuto ricominciare a fare la sua amante perfetta, colei che sa stare al suo posto senza lamentarsi mai.

Se invece avessi deciso di tenere il bambino, avrei dovuto sparire per sempre, facendo però sì che Paulo non scoprisse mai dell'esistenza di suo figlio.

Osservai una foto, in cui io e la Joya camminavamo per Laguna Larga, mano nella mano.

Osservai i suoi magnetici occhi verdi, il suo sorriso, il suo volto perfetto.

Pensai ad una versione in miniatura di lui, un bambino che sarebbe stato completamente mio, che avrei cresciuto da sola, dimostrando al mondo quanto fossi forte. Sarebbe stato quell'indissolubile legame che avrebbe unito per sempre il sole e la luna.

Magari avrebbe avuto la stessa passione per il calcio che aveva suo padre, magari i due prima o poi si sarebbero incontrati, o da colleghi, o da calciatore e allenatore, chi lo sa.

Trassi un profondo respiro.

Avevo preso la mia decisione: avrei tenuto il bambino.

Osservai il vuoto di fronte a me, e scoppiai a piangere. Mai e poi mai avrei potuto immaginare la mia vita in modo così complicato. Cos'avevo fatto di male per meritarmi tutto questo?

Mi fermai lì, su quella panchina, per riflettere su ciò che avrei dovuto fare da quel momento in poi.

Sarei tornata a casa, e avrei spiegato ai miei genitori il fatto che ero incinta, senza mai dire il nome del padre del bambino, poi sarei tornata a Roma per due o tre mesi, giusto il tempo di sistemare la mia vita, finché le dimensioni della pancia me lo avessero permesso, poi avrei trascorso gli ultimi mesi di gravidanza nella mia casa di Conegliano.

Di lì in poi avrei anche potuto tornare a Roma, sempre attenta a tenere il bambino fuori dalla portata di Paulo.

Paulo.

L'idea di non poterlo più rivedere mi creava un dolore atroce, che mai si sarebbe colmato.

Eppure dentro di me io volevo quel bambino. Era solo stato concepito nel momento sbagliato, dalla coppia sbagliata.

Mi alzai dalla panchina, giusto nel momento in cui arrivò un messaggio da parte di Paulo.

Lo lessi.

"amor, ven a cenar conmigo esta noche. Te quiero"

Fui lì lì per gettare il mio iPhone lontano, in un luogo dove non avrebbe mai potuto ricevere messaggi di Paulo, così felice, ignaro della bomba che stava per esplodere.

Sarei andata da lui quella sera, ma non avrei detto nulla. Avrei anche aspettato a lasciarlo: dovevo farlo nel momento migliore, quando non fosse risultato sospetto.

Fu così che due ore dopo mi trovai di fronte alla porta d'ingresso del suo appartamento. La osservai, pensando a quante volte l'avevo oltrepassata, felice, spensierata, convinta che dietro di essa avrei trovato la gioia eterna.

Dio, quanto mi sbagliavo. Ero stata un'illusa a credere che la mia vita per una volta potesse andare come avevo sempre sognato.

Era impossibile, e in fondo l'avevo sempre saputo.

Suonai al campanello.

Quando Paulo venne ad aprirmi persi un battito. Non potevo sopportare l'idea di non poter più rivedere di fronte a me quei meravigliosi occhi verdi.

Mi sporsi verso di lui e lo baciai, lasciando ancora una volta che le nostre labbra si incontrassero, come le nostre lingue.

Cenammo insieme. Mi stupii incredibilmente della mia capacità di recitare, che mai avevo saputo di possedere.

Avrei sul serio potuto intraprendere una carriera come attrice: riuscii a ridere, a parlare tranquillamente con Paulo, come se nella mia vita non ci fosse altro pensiero all'infuori di lui.

Gli dissi che avrei trascorso i due giorni successivi a casa dei mie genitori, a Conegliano.

Faceva tutto parte del mio "diabolico piano".

Mi sentivo male all'idea di dovergli mentire praticamente su tutto, da quel momento in poi, ma io quel bambino lo volevo con tutta me stessa, e nulla avrebbe mai potuto togliermelo.

Dentro di me speravo fosse una femmina, una piccola Sofia con la quale trascorrere la mia vita. Un po' come nella serie tv "una mamma per amica", delle nuove Lorelai e Rory, insieme, schierate come migliori amiche contro tutto e tutti.

Guardavo Paulo, i suoi movimenti, ascoltavo la sua voce. Volevo che mio figlio, maschio o femmina che sarebbe stato, ereditasse tutto da lui.

Perchè lui era la perfezione, quella perfezione che avrei dovuto abbandonare per sempre.

Il sole e la luna II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora