25° capitolo - I'll go

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Uscii da casa di Paulo con questa terribile consapevolezza. Non gli dissi nulla: anche in questo caso sarebbe stato il destino a decidere cosa sarebbe accaduto.

Procedetti "tranquilla" per la mia strada, incrociando le dita, sperando ovviamente di ricordare male.

Quando rientrai finalmente nel mio appartamento, mi sembrava di essere stata lontana da quel luogo per anni.

Eppure non erano trascorse che una quindicina di ore.

Quindici meravigliose ore, che allo stesso tempo erano state in grado di far crollare ogni nostra certezza, ogni nostra sicurezza.

Paulo era sereno, ora che sapeva che sua madre non era venuta a conoscenza di nulla, ma io no.

Portavo nella mia coscienza un peso del quale non avrei reso partecipe nessuno.

Era un mio problema, ed io in qualche modo l'avrei risolto.


Trascorse una settimana. 

Finalmente mi sentivo sollevata: dopo sette lunghi giorni di agonia, sentivo di aver finalmente superato il pericolo, di poter finalmente ricominciare a sorridere sul serio, senza più dover fingere.

Quando mi guardavo allo specchio ero certa che in me non sarebbe mutato nulla nel corso dei mesi seguenti.

Uscii di casa, felice come non lo ero da giorni.

Andai nell'appartamento di Paulo, lo baciai, lasciai che lui mi baciasse, senza più riserve.

Non aveva mai saputo nulla dei miei precedenti dubbi, ma in fondo sapevo che aveva capito che qualcosa mi turbava, ed ora era finalmente giunto il momento di sistemare la questione.

Lo trascinai a letto, lo spogliai, e lasciai che facesse lo stesso con me, per poi penetrami con colpo secco.

Mi erano mancate quelle sensazioni, e soprattutto mi era mancata la leggerezza con cui lo facevamo.

Mi era mancata soprattutto la mia leggerezza, che negli ultimi sette giorni aveva lasciato il posto a cupe riflessioni sul nostro possibile destino.

Uscii dal suo appartamento e mi diressi al lavoro... anche quello mi sembrava incredibilmente bello.

Amavo il mio lavoro, solo che negli ultimi mesi l'avevo trascurato molto: una volta terminato il progetto alla Roma, l'unica cosa che mi interessava era Paulo.

Ma ora le cose erano diverse: quella sera di una settimana prima mi aveva fatta maturare.

Avevo capito che il nostro amore doveva essere più prudente, e che soprattutto io dovevo prendermi i miei spazi.

E il lavoro faceva parte di essi.

Persino Sara, la mia segretaria, notò il buonumore con cui quel giorno ero entrata in ufficio.

Tornai a casa verso le cinque del pomeriggio.

Fu proprio mentre camminavo lungo le vie romane che capii che il pericolo non era scampato:  sentii la testa girare.

Tutto intorno a me si fece offuscato, ed un incredibile senso di nausea, mai provato prima, si fece strada dentro di me.

Mi appoggiai ad un muro, respirando a fondo per permettermi di tornare lucida.

Sentivo una stranissima sensazione dentro di me, come se... come se ci fosse qualcos'altro, che prima non c'era.

Lo sapevo.

Mi sedetti su un muretto e attesi che il giramento di testa passasse, quindi tornai a casa.

Mi guardai allo specchio. E pensare che solo quella mattina mi sembrava di aver passato ogni pericolo, superato ogni ostacolo.

Sapevo cosa dovevo fare.

Scesi le scale e mi diressi in macchina, quindi misi in moto, e guidai alla volta dell'ospedale.

Preferivo farmi controllare lì. Non ero mai stata una persona molto brava con i test casalinghi... già con i tamponi in casa per il covid-19 avevo combinato dei casini colossali... meglio non ripetere l'esperienza.

Parcheggiai, e restai lì ad osservare la gente che entrava ed usciva da quelle maledette porte scorrevoli, che presto avrei varcato anche io.

Medici, infermieri, pazienti, erano tutti lì, sembrava quasi che mi incitassero ad entrare, per scoprire finalmente la verità.

Ma in fondo io già la sapevo, la verità.

Uscii dalla macchina e mi incamminai lentamente verso l'ingresso dell'ospedale. Passo dopo passo sentivo quel maledetto peso dentro di me farsi sempre più imponente.

Andai al pronto soccorso, dove mi fecero aspettare per una vita. In fondo non ero nemmeno svenuta, quindi il mio caso sarebbe venuto dopo quello di altre decine di persone con problematiche molto più gravi.

Dopo circa due ore, finalmente, un'infermiera uscì da una porta a vetri e disse: "Sofia Ferrante?".

Mi alzai in piedi di scatto e la seguii.

Mi fece analisi su analisi, domande su domande, quindi mi chiese di accomodarmi nel corridoio.

Fu così che attesi, attesi.

Il tempo mi sembrava non scorrere mai... era incredibile quanto potesse dilatarsi quando si aspettava una notizia del genere.

Dopo quella che mi sembrò a tutti gli effetti un'eternità, vidi la stessa donna venirmi nuovamente a chiamare.

Mi fece accomodare su una sedia, e disse. "Signorina, non deve preoccuparsi: lei è solo incinta".

Lo sapevo, l'avevo sempre saputo.

Posai le mie mani sul viso, cercando di non scoppiare a piangere.

Avevamo combinato un casino.

Perchè avevo bevuto quella maledetta sera? perchè non mi ero fermata prima di fare sesso con Paulo? Perchè non mi ero accorta che non stavamo usando il preservativo?

Sentii le mie lacrime scorrere lungo le guance.

"Forse questa gravidanza non è gradita?", chiese l'infermiera, sorridendomi.

La osservai. "No", dissi.

Notai lo sguardo dell'infermiera farsi più severo, come se avessi detto qualcosa di sbagliato. In quel momento avrei voluto alzarmi in piedi e chiederle che diritto avesse lei di giudicarmi, di criticarmi solo perchè non volevo essere incinta.

Solo che non lo feci, un po' perchè non ne avevo la forza, un po' perchè sapevo che così facendo non avrei fatto altro che aumentare i suoi pregiudizi nei miei confronti.

"vuole abortire?", mi chiese, come un fulmine a ciel sereno, come se mi stesse chiedendo la cosa più normale del mondo, una decisione da prendere così, su due piedi.

Restai qualche istante lì, a riflettere, a fissare il vuoto.

Cosa volevo veramente?  Tenere il bambino o gettare via questa nuova vita?

Mi accasciai con la testa tra le braccia conserte sul tavolo. Mi trovavo di fronte a quella che probabilmente era la scelta più dura e importante della mia esistenza.

Per la prima e ultima volta avrei avuto l'autorità di scegliere se una vita dovesse iniziare, o terminare già dal principio.

"ci posso pensare un po'?", chiesi.

"Ha tutto il tempo che vuole, ma si ricordi che non si può aspettare oltre il novantesimo giorno di gestazione per abortire", disse con tono perentorio.

La osservai. Chissà quante altre volte si era trovata di fronte donne come me, indecise su cosa farne della vita che avevano concepito.

In quel momento nella mia testa c'era un incredibile vortice di pensieri, tra i quali regnava chiaramente solo uno: Paulo non avrebbe mai saputo dell'esistenza di un figlio.

Il sole e la luna II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora