3218 passi

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Erano le sette in punto quella mattina, la sveglia non fece in tempo a suonare che l'orologio biologico di Jimin lo svegliò facendogliela disattivare. Con la testa ancora nel mondo dei sogni, la sua mano si posò sull'ageggino premendo il tasto "off".

Jimin, da sempre stato molto attento ad attenersi ad una scaletta ben dettagliata di azioni da eseguire, s'infilò le ciabatte per poi alzarsi e rifare il letto. Tutto doveva essere perfettamente allineato e nel "suo posto" diceva lui. Così, finito di sistemare, si diresse in bagno per proseguire.

L'autismo, nel suo caso ad alto funzionamento, gli permetteva molte cose che per chiunque sarebbero state impossibili, ma gliene poneva alcune di assurde. Le sue fisse, le manie di controllo, i rituali ossessivi di svolgimento delle giornate, tutto. E non sia mai che qualcosa non andasse come da programma, perché sarebbe andanto in crisi.

Un po' sperava, fra se e se, di incontrare un ragazzo che lo "aggiustasse". Ma fino a ora era sempre stato visto come il tipo strano, silenzioso, secchione e vagamente inquietante e inadatto. Sperava che adesso, nella nuova scuola, potesse rifarsi.

Dopo essersi vestito scese nella sala da pranzo, prendo posto nella solita sedia. "Buongiorno Jimin, dormito bene?" domandò affettuosa Liza, la madre. "Si." rispose lui. Ella sapeva che la freddezza delle sue risposte non era voluta, ma un po' ci stava male comunque.

"Bene, ora mangia, ho preparato il solito e sul tavolo ho messo la merenda..." asciugò le mani bagnate sul grembiule per poi sfilarlo e continuò: "Vado a lavoro, ci vediamo sta sera. Buona fortuna per il primo giorno piccolo, vedrai che andrà bene. Se qualcuno dovesse infastidirti o darti noia, ti prego di segnalarlo subito."

Detto ciò, l'istinto la portava a volerlo abbracciare ma sapeva che il contatto fisico non era ben gradito dal figlio. Guardò Jimin dritto negli occhi e aprì il palmo della mano, lo chiuse e lo riaprì. Jimin fece lo stesso. Era il loro modo di dirsi "ti voglio bene" senza sfiorarsi. Il movimento ricreava un battito, era stata un'idea del ragazzo quando ancora aveva 10 anni.

Quando i due si separarono, Jimin finì di consumare il pasto. Ripose le stoviglie a lavare e il pranzo nello zaino. Lavò i denti, prese il telefono e mise lo zaino in spalle. Erano le 7.17, l'ora di uscire di casa.

Camminava a passo moderato, aveva calcolato ogni spostamento e il tempo che avrebbe impiegato. Era sicuro che sarebbe arrivato a scuola alle 7.30, mezz'ora prima dell'inizio delle lezioni. Tempo necessario per sedere in classe da solo e ambientarsi nel nuovo spazio.

Così prese a camminare, isolò la mente dai rumori esterni, immaginando tutt'altra realtà. Nella sua testa viveva la vita di un ragazzo normale: era felice, realizzato, magari fidanzato e soprattutto neurotipico.

Senza neanche accorgersene era a scuola, nello spiazzo non vi era ancora nessuno, davanti alla porta d'entrata si eregeva un'imponente scritta in metallo indicante il fondatore della scuola. " Min Sinji" .

Jimin, che fino al cancello aveva contato 3218 passi, entrò all'interno della struttura. Cercò la classe 4IA nella cartina posta su una delle colonne dell'atrio, e vi entrò scorgendo qualcuno che riconobbe all'istante...

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