Paragrafo 3. Gli stracci.

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Paragrafo 3.

Gli stracci.

"Sei tu Stern?"

"Sì mamma, torna pure a letto."

"Ti ho lasciato la stufa accesa e la cena sul tavolo. Quando hai finito ricordati di spegnere la stufa e prendere le gocce. Buonanotte."

"Sì ma', buonanotte."

L'anziana signora Hutcher si era fermata sull'uscio della sua camera da letto, senza scendere al piano terra dove si trovavano il salone e la cucina. Probabilmente per il freddo, visto che all'esterno la temperatura sfiorava i meno dieci, o forse per evitarsi lo strazio di stare accanto al figlio nelle condizioni in cui solitamente era quando si ritirava a notte fonda. Lo aspettava tutte le volte sveglia, anche se lui non sempre se ne accorgeva.

Stern aspettò di sentire il rumore della porta della camera da letto della madre che si chiudeva al piano di sopra, poi ritornò fuori sotto la tettoia in legno dove lo aveva lasciato e si caricò in spalla il corpo, dopo essersi coperto il cappotto con dei vecchi stracci presi in cucina.

Durante tutta quell'operazione, un unico pensiero lo assillava e lo tormentava "...la mamma non si accorgerà di questi vecchi stracci... la mamma non si accorgerà di questi vecchi stracci... la mamma non si accorgerà di questi vecchi stracci..."

Una volta tornato dentro, salì al piano di sopra facendo scricchiolare le assi di legno della scalinata che già normalmente a stento sopportavano i suoi quasi centotrenta chili, (figurarsi ora che se ne sommavano almeno altri settanta di quello che aveva in spalla) e si diresse nella sua camera in fondo al corridoio dal lato opposto rispetto a quello dove si trovava la stanza da letto della madre in quella grande e solitaria casa di legno.

Con un fare quasi distratto lo scaricò senza cura sulla moquette verde del pavimento e scese nuovamente in cucina.

Prima di consumare la cena, sminuzzò in pezzi piccolissimi gli stracci sporchi di sangue che aveva usato per non macchiarsi il cappotto e li nascose sul fondo del secchio della spazzatura scavando con le mani tra avanzi di cibo e immondizia. Poi si lavò accuratamente le mani sotto il rubinetto della cucina "...mai sedersi a tavola con le mani sporche Stern..." e stava per buttare giù la cena, ma il pensiero che gli stracci non fossero stati nascosti bene nel secchio lo fece rialzare per andare a rimettere le mani nella spazzatura. Sbuffò spazientito.

Li recuperò di nuovo e per prudenza li infilò dentro un barattolo di fagioli vuoto che stava già nella busta per nasconderli meglio, dopodichè avvolse il tutto in una confezione vuota di cartone di gamberi surgelati e questa volta schiacciò bene verso il fondo del secchio.

Fu soddisfatto e finalmente potè sedersi a tavola.

Dopo aver mangiato svogliatamente le uova e quella specie di cavolo bollito che erano sul tavolo, spense la stufa a gas in cucina e si spostò nel salone portandosi appresso il contenitore delle gocce che la madre gli aveva premurosamente lasciato sul tavolo, accanto al bicchiere d'acqua già pieno a metà.

Una volta nel salone, si lasciò cadere sul vecchio divano in stoffa dalla tappezzeria consunta a quadroni verdi e rossi, poggiò i piedi sul tavolinetto in legno con sopra un centrino inamidato ricamato all'uncinetto, sicuramente da sua madre quando ancora aveva la vista buona, prese le gocce ("...ricorda Stern... cinque e mai più di cinque... ripeti Stern... cinque e mai più di cinque...") e si addormentò con lo sguardo fisso sui boccoli rossi di sua moglie nella foto incorniciata sul camino in mezzo ai due lumini artificiali alimentati a batteria.

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