Paragrafo 21. Il gioco.

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Paragrafo 21

Il gioco.

Giorno 7

Bill aveva trascorso tutto il giorno in un dormiveglia nervoso, fino a quando fu svegliato dal rumore della cassapanca che sbatteva al piano di sotto, in quella cameretta che per i primi giorni era stata la sua prima prigione. Sentì un rumore metallico di qualcosa che veniva estratto da lì dentro e la scala di legno che scricchiolava sotto il peso del suo carceriere che stava salendo in soffitta. La sera prima lo aveva lasciato con l'invito, molto infelice, a ripresentarsi da lui accompagnato dalla madre. Si era reso conto che non era stata una buona idea e che probabilmente si era giocato tutti i progressi fatti fino a quel momento. Però non si perse d'animo e, continuando la recita del giorno prima, alzò la schiena dal pavimento di legno e si mise seduto cercando di assumere un atteggiamento quanto più professionale possibile. Se Stern avesse accettato di giocare ancora al bravo bimbo che va dal dottore, le speranze di salvezza di Bill avrebbero di nuovo fatto un enorme passo in avanti, passando da 0,1 su cento milioni di milioni a 0,2 su cento milioni di milioni. L'orecchio gli bruciava in un modo difficile da descrivere e la pelle del viso gli sembrava che quasi galleggiasse con attrito sui muscoli della faccia, facendolo impazzire dal dolore ad ogni oscillazione, come una barca di pietra viva su un mare di seta.

Ma si fece coraggio e assunse il tono del dottore in attesa del paziente: "Avanti, entra pure" disse, quando sentì che mancavano due o tre gradini all'apertura della botola.

Il quadrato di legnò girò su sè stesso di centottanta gradi ed andò a sbattere sul pavimento sollevando uno sbuffo di polvere che venne subito filtrato da un potente fascio di luce artificiale proveniente dalla camera sottostante. La luce all'interno della soffitta si oscurò per la massa enorme di quell'uomo che stava mettendo piede lì dentro e non fu un buon presagio.

Bill vide cosa aveva in mano il suo paziente e si oscurò anche lui. Gocce di sudore gelato gli soffocarono il respiro come una stalattite di ghiaccio millenaria al cospetto di un falò primitivo.

Senza nemmeno dire una parola, Stern puntò dritto al centro della soffitta dove giaceva Bill Stapleton, con passo spedito e sguardo assente, come per un'incombenza di routine, tipo dar da mangiare ai maiali o attaccare la mungitrice elettrica nella stalla. Gli bloccò la testa con le ginocchia, con una mano teneva il rotolo di nastro adesivo e con l'altra ne staccò un lembo e glielo fissò sulla bocca. Poi fece due giri come al solito e lo strappò con le mani facendolo quasi svenire per le fitte di dolore, che Bill sentì come tanti aghi roventi nella carne viva sulla parte destra del viso che scendevano sempre più in profondità. Lasciò cadere il rotolo di nastro adesivo e con le sue grosse mani gli mise il guinzaglio al collo.

Dalla tasca dei pantaloni estrasse un piccolo pezzo di corda e gliela strinse attorno ai polsi con la grazia di chi è abituato a condurre gli animali al macello.

Bill calò la testa in avanti per la rassegnazione, ma lui gliela strattonò tirando la catena: "non dormire Bill, mi servi sveglio, stasera andiamo a giocare in cortile."

Lo fece alzare e lo condusse al piano di sotto attraverso la scala facendolo scendere davanti a lui con la catena del guinzaglio sempre tesa, se Bill fosse solo scivolato avrebbe provato qualcosa di molto simile all'impiccagione e forse, in quel momento e in quello stato d'animo, non gli sarebbe dispiaciuto nemmeno poi tanto. Uscirono dalla camera di Stern ed arrivarono in salotto con tutta calma.

"La mamma non sarebbe potuta comunque venire da te dottore. Le è venuto quel mal di testa forte e ha preso quelle gocce che la fanno dormire tanto. Sarà nel mondo dei sogni per almeno due giorni. Poverina." Sorrise.

Stern spalancò la porta d'ingresso di quella vecchia casa e se lo trascinò fuori nella neve. Il cielo era limpido ed erano ben visibili la luna ed un'infinità di stelle. Bill si stava chiedendo per chi stessero facendo il tifo, poi decise che occorreva capire prima a che gioco avrebbe dovuto giocare. In silenzio camminarono in salita per circa mezz'ora, Stern davanti e Bill dietro, passarono attraverso un lungo corridoio di alberi fino ad arrivare ad una parte di bosco pianeggiante dove finiva il sentiero e gli alberi tornavano ad essere sparsi nell'ordine casuale che gli aveva assegnato la natura da tempo immemore.

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