Paragrafo 34
La voce.
Tutto questo succedeva intorno a mezzogiorno.
Quando la signora Hutcher terminò la sua confessione erano da un pezzo passate le tre.
Questo fu l'incipit:
"Stern! Ero convinta che tu non ci fossi. Ti ho sentito uscire quando mi hai chiamata dal corridoio per salutarmi, non mi ero accorta che fossi tornato. Ma non importa, anzi forse è meglio che tu sia presente. Sono stanca ormai. E lui, dimmi. Lui chi è? Non rispondi eh? L'hai fatto di nuovo! Ero convinta che non avresti più ripetuto lo sbaglio. Erano settimane che mi ero accorta di un'altra presenza in casa. Ho pregato notte e giorno che fosse un capriccio temporaneo, ho sperato con tutte le mie forze che risolvessi da solo la faccenda in un modo o nell'altro. Invece no. Sentivo quest'uomo gemere disperatamente ogni volta che vi ritiravate all'alba ed io in silenzio a piangere dietro la porta della mia camera. Ho invocato misericordia per lui e soprattutto per te, ma si vede che il nostro Dio onnipotente aveva in serbo un altro destino per entrambi. Ora è qui e dobbiamo porre fine a questo gioco. Da quando sei nato non ho permesso a nessuno di portarti via da me, figuriamoci se lascerò che a farlo sia una squadra di poliziotti venuti da chissà dove. Mi sono presa cura di te più di quanto abbia pensato a me stessa e non solo per il tuo problema. O forse si, diciamo anche così. Quando nascesti ero così orgogliosa di aver avuto un figlio maschio e già immaginavo un futuro brillante per te come medico, avvocato o anche ingegnere come tuo padre, perchè no? Poi man mano che crescevi, vedevo i tuoi compagni sempre più insensibili e cattivi verso le tue "stranezze" ed ogni notte bagnavo il cuscino pensando a quando da adulto saresti stato solo, in balìa di un mondo così indifferente e crudele nei confronti di chi è speciale come te, allora ho giurato che ti avrei difeso da tutti e tutto a qualsiasi costo e l'ho sempre fatto. Eri fragile ed io mi prendevo cura di te, ma più lo facevo e più mi accorgevo che la tua debolezza diventava pericolosa. Poi arrivarono gli esami medici e le conferme da parte della medicina, quella con la "M" maiuscola. Il mio bambino non era "normale", così dicevano, ma io ero convinta che loro non avessero capito niente. Tu eri eccezionale e nessuno era alla tua altezza. A dodici anni ho iniziato a leggerti Dostojevski, a dieci già ascoltavi Schubert e Chopin mentre i tuoi coetanei che ti prendevano in giro tiravano sassi alle lattine di birra sui marciapiedi. Ti ho letto pagine indimenticabili di filosofia ed abbiamo discusso di Dio per ore meditando sulle Scritture. Forse sono stava severa a volte, ma lo facevo per il tuo bene. E' vero, i segni delle bruciature sulle braccia e sul viso.... a volte ho esagerato forse... ma ho cercato in tutti i modi di non farti mancare nulla, ti ho fatto da madre, da compagna di giochi, da maestra e da confidente... e dopo il fatto di papà... anche da padre... già tuo padre... é lì che ho cominciato...
Voleva a tutti i costi mandarti in quella dannata scuola per chi ha i tuoi stessi "problemi", come li chiamava lui. Abbiamo trascorso intere nottate a litigare su questo, io dicevo che non gli avrei mai permesso di lasciarti in mano a degli sconosciuti, affidato ad altre persone a te estranee. Il mio Stern, da solo a centinaia di chilometri da casa senza la sua mamma a dargli conforto. Piuttosto sarei morta... poi ho pensato che se fossi morta avrei solo reso la vita più difficile a te... e allora ho pensato che... bè... se qualcuno doveva morire, non ero io...
Non avrei mai voluto, devi credermi Stern!
So quanto ci tenessi a tuo padre, ma lui non capiva... era ostinato... lo siete tutti in famiglia.
Lui aveva una pistola nel comodino in camera, caricata con otto proiettili pronti all'uso, per ogni eventualità diceva... è stato un attimo, non ha sofferto. Te lo giuro.
Non dimenticherò mai il suo viso bianco con quei suoi occhi verdissimi rivolti all'indietro e la testa sprofondata nel cuscino che si faceva sempre più rosso a vista d'occhio... era una spugna quel maledetto cuscino, non finiva mai di assorbire. Ma uccidere un uomo è peccato. Quell'immagine mi perseguitò per giorni, settimane, mesi, fino a quando una notte mi sembrò di impazzire. Corsi in cucina in preda alla follia, misi due cucchiai d'argento sul gas e quando diventarono arancioni me li appoggiai sugli occhi nella speranza di non vedere più nulla. Il Signore giusto mi accontentò e mi concesse il suo perdono dopo la punizione. Avevo rinunciato alla vista e ad un marito, ma almeno il mio piccolo Stern aveva sua madre vicino a difenderlo dalla cattiveria e dalla stupidità del mondo.
Tu crescevi ed io facevo del mio meglio per renderti speciale, ancora di più di quanto già non lo fossi. Poi di nascosto da me, approfittando della mia cecità, abbandonasti le letture che io ti suggerivo e iniziasti a leggere quegli squallidi fumetti che ti procuravi al supermercato quando scendevamo a fare la spesa con l'auto del caro signor Tom, che Dio lo abbia in gloria. C'era quella specie di eroina, Margaret, che rubò il tuo sonno e la tua fantasia. Iniziasti a parlare solo di lei e delle sue banali avventure da cartone animato. L'ossessione cresceva e si impadroniva del mio piccolo Stern. Ero gelosa, sì lo ammetto. Poi un giorno ti presentasti qui con una donna. Mi dicesti solo che era alta e con i capelli rossi, proprio come quella Margaret dei fumetti. La prima volta non potei parlarci, evidentemente era imbavagliata a giudicare da come strepitava e gemeva a bocca chiusa. Cercai di toccarle il viso, per conoscerne i tratti, ma ritrassi la mano bagnata e intrisa dell'odore del sangue. Provai rabbia, tanta rabbia, ma non avevo la forza per affrontare tutto. Mi diedi del tempo. In fondo pensavo che tu non l'amassi a giudicare dal rumore degli schiaffi e delle urla che sentivo provenire dalla tua camera. Spesso l'ho sentita gridare aiuto ed ho fatto finta di niente pensando che l'avresti presto riportata lì dove l'avevi presa. Credo fosse una donna di strada o una povera senzatetto. Però più passavano i giorni e più l'idea che la liberassi mi metteva ansia. Avrebbe potuto dire a tutti cosa era successo e dove era stata tenuta prigioniera, facendo arrivare la polizia a portare via il mio bambino speciale. Non potevo permetterlo... dietro le sbarre non avrebbero saputo come trattarti... allora cercai di farci amicizia e ti spinsi a toglierle più spesso la catena e lasciarla libera per casa, in modo che potessi parlarci e convincerla ad assecondarti con le buone. All'inizio sembrò funzionare, le dissi che anche io ero tua prigioniera ed in un certo senso solo Dio sa quanto fosse vero, poi lei cominciò a fissarsi con quella folle idea di scappare da qui.
Ormai, al punto in cui eravamo non potevo permetterlo, così fui costretta per la seconda volta a fare qualcosa di molto difficile per difenderti. Ovviamente fu meno doloroso e meno difficile della prima, ma ci riuscii con una buona dose di pillole e una profonda penitenza subito dopo. Stetti al suo gioco e la sera fissata per la partenza restammo d'accordo che lei avrebbe finto di sentirsi male alzandosi da tavola ed io l'avrei accompagnata fuori a prendere una boccata d'aria prima che tu la segregassi in camera per la notte con la catena attaccata al letto. Così fu ed in effetti quella notte nessuna catena le serrò la caviglia... come da accordi lei si alzò da tavola, tu scattasti in piedi per seguirla ma io ti rassicurai dicendoti che erano malesseri da donna e ci avrei pensato io alla tua cara Margaret. L'accompagnai fuori, la serata era gelida, nevicava da una settimana ormai ininterrottamente, però ricordo una cosa strana, la completa assenza di vento, c'era una calma piatta fuori e in quell'atmosfera immobile l'abbracciai fingendo di farle forza e le scaricai in petto il secondo proiettile della pistola che avevo sotto il maglione. Pensavo ne occorresse un altro perchè lei continuava a muoversi e a contorcersi tra le mie braccia che la stringevano forte, poi mi scivolò di mano e la sentii rantolare nella neve tra gli spasmi dell'agonia. Non potevo rischiare di attirare la tua attenzione con un secondo proiettile, anche se quella sera ci andai pesante con il tuo sonnifero Stern, fu la minestra con più gocce che ti abbia mai dato, ma era per il tuo bene. Lo capisci no? Ti riprendesti dopo una settimana senza ricordare nulla di quello che successe dopo che io e Margaret uscimmo fuori.
Fortunatamente, lì fuori c'era la vecchia sedia a dondolo dove tuo padre si sedeva a fumare il sigaro nelle sere d'estate.
Salii con i piedi sul suo braccio che sentivo agitarsi, uno solo, forse con l'altro si premeva la ferita, e glielo bloccai, poi presi il dondolo e con il taglio della parte inferiore le schiacciai il collo fino a quando non sentii più nulla. Il lamento si indebolì gradualmente, poi sentii solo qualche sbuffo d'aria e poi più niente.
Passai molte ore quella notte a mettere a posto tutto e la mattina dopo mi svegliai con un terribile mal di schiena...
E questa è la storia, che ora conosciamo tutti e due... anzi... tutti e tre."
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La Casa di Legno
Mystery / ThrillerUn racconto a tinte scure, non adatto ai minori e ai soggetti particolarmente impressionabili. Una storia sospesa, con varie chiavi di lettura, in cui il confine tra il bene e il male è evanescente come il ricordo di un brutto sogno.