Paragrafo 11.
Il passeggero.
Lo aveva lasciato in bagno, legato sulla sedia, con i capelli bagnati e l'acqua fredda che iniziava a scorrergli addosso infiltrandosi dappertutto. Bill lo sentì scendere in cucina. Poi la moquette sul pavimento attutì e confuse ogni altro rumore proveniente dal piano terra. Trascorsi alcuni minuti, ritornò di sopra con un pezzo di pane e una scatoletta di tonno da offrire al suo dottore.
Intanto il cielo si era fatto scuro e il nevischio leggero, che era caduto per tutta la giornata, non accennava a diminuire. L'ultima luce del giorno era sparita e dalla piccola finestra si vedeva solo il nero cupo del fitto bosco di abeti e qualche riflesso di luna sulla roccia lucida della montagna, tra un passaggio di nuvola e l'altro.
Bill sentì girare la chiave nella serratura della porta e iniziò di nuovo a tremare. Questa volta, di certo, non per il freddo.
Con la sua mano enorme, Stern schiacciò alla cieca l'interruttore della luce e lanciò a Bill un asciugamano: "ora ti sciolgo, così puoi asciugarti, che fra un po' scendiamo a parcheggiare."
Quando la debole lampadina gialla illuminò il centro della stanza, un pallido velo luminoso ricoprì il piccolo specchio sul lavandino del bagno e per poco Bill non svenne vedendo il riflesso della sua faccia ridotta in quel modo.
Con delle semplici forbici da cucina Stern incise appena la spessa corda che non ne volle sapere di liberare subito il dott. Stapleton. Dovette riprendere spazientito il taglierino e completare l'opera staccando gli ultimi filamenti di tessuto con uno strattone a mano, forse come esibizione di forza o forse senza un vero motivo reale, come del resto per tante altre cose che avrebbe fatto in seguito.
Appena riuscì a muovere le braccia e le mani, ormai quasi atrofizzate, Bill dovette fare due tentativi prima di riuscire, al terzo solamente, a coprirsi il volto e piangere.
Curioso come il retaggio culturale, anche in una situazione così drammatica, gli avesse imposto di attendere la disponibilità di entrambe le mani per poter piangere, rigorosamente a viso coperto.
"Ehi dottore. Ora aggiungiamo un'altra regola: niente pianti."
Si asciugò il viso con l'asciugamano che, alla terza passata tra lacrime, sangue e acqua era praticamente diventato inservibile, se lo passò nei capelli e se lo tenne premuto sul sopracciglio che ancora sanguinava. Le altre ferite risalivano alla sera prima e se non si può dire che fossero in via di guarigione, almeno si erano un po' asciugate.
"Se hai fame mangia ora! Ti ho portato un po' di pane e del tonno. Il caviale era finito. Appena mamma va a dormire scendiamo e posiamo la tua auto."
Ovviamente Bill non riuscì a mangiare niente, sia per la bocca ancora fuori uso che per un peso allo stomaco dovuto al terrore che iniziava a stringerlo come una morsa gigante. Per non pensare a quello che immaginava gli sarebbe successo di lì a poco, cercò di concentrarsi su come fosse finito in quel luogo, in balia di quello psicopatico, in chissà quale parte del mondo. Nella sua mente si affollavano solo immagini confuse e distanti del suo studio a soqquadro, sedie rovesciate, tende strappate dalle finestre e porte sfondate.
Non riuscì a ricordare oltre.
Poi vide quell'energumeno aprire la cassapanca sotto alla finestra ed estrarre con soddisfazione qualcosa di simile ad una catena. Abbassò la testa e girò lo sguardo verso il muro per non provocare di nuovo l'ira di quello squilibrato. Fu solo quando sentì stringere intorno al collo una fibbia di cuoio e un rumore metallico sopra la testa che capì che quell'oggetto era nient'altro che un guinzaglio per cani di grossa taglia.
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La Casa di Legno
Mystery / ThrillerUn racconto a tinte scure, non adatto ai minori e ai soggetti particolarmente impressionabili. Una storia sospesa, con varie chiavi di lettura, in cui il confine tra il bene e il male è evanescente come il ricordo di un brutto sogno.