Paragrafo 32. La fuga.

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Paragrafo 32

La fuga.

Bill Stapleton si svegliò nella solita soffitta buia e dall'umidità penetrante per il rumore che fece la botola quando si rovesciò sul pavimento di legno polveroso. Il dolore ormai era il suo buongiorno abituale e quasi non fece caso alla fitta che lo trafisse attraversando il suo corpo dal polpaccio fino alla pancia quando si tirò su per sedersi. La sua prima preoccupazione fu di scoprire di che umore fosse Stern. Lo vide avvicinarsi con aria premurosa e quasi remissiva, capì che era stato appena imbottito di medicinali dalla madre, evidentemente aveva dato segni di essere in procinto di oltrepassare il confine, o forse la donna aveva solo bisogno di ricaricare le batterie.

Stern si sedette accanto a lui e iniziò a recitare la parte del paziente costretto a disdire un appuntamento già prenotato.

"Dottore, mi dispiace, purtroppo devo rimandare la seduta di oggi. La legna è finita e mi tocca andare fuori a farla. Starò fuori tutto il giorno."

Era la prima volta che succedeva. Bill sarebbe rimasto in casa da solo con la signora Hutcher completamente ignara di avere in soffitta quello che restava di un uomo sequestrato mesi prima.

Si aspettava da un momento all'altro di veder comparire il nastro adesivo e le cinghie e quindi non diede nemmeno il tempo alla sua mente di fantasticare su una richiesta di aiuto o addirittura una fuga. Sarebbe stata un'ulteriore delusione. Tanto valeva non pensarci nemmeno. Lasciò morire il germoglio della speranza prima ancora che questo attecchisse nel terreno del suo istinto di sopravvivenza.

"Bene Stern Hutcher, rimanderemo a domani la seduta di oggi, dovrei essere libero alla stessa ora."

Stern sembrò quasi meravigliato di sapere che il dottore avrebbe potuto incontrarlo l'indomani senza complicazioni. Gli sorrise con i soliti occhi troppo vuoti e troppo pieni allo stesso tempo e si allontanò salutandolo con educazione.

"ora mi mette il nastro e mi lega... sta scendendo per prendere il guinzaglio e le cinghie, poi risale e mi sistema per tutto il giorno come farebbe un badante senza scrupoli con un vecchio col pannolone..."

Invece, inaspettatamente e forse distrattamente, si richiuse la botola alle spalle e scese dalla scala senza salire più per tutto il giorno. Bill lo sentì prendere qualcosa dall'armadio nella camera al piano di sotto ed uscire chiudendo a chiave la porta della cameretta.

"si ricorderà di avermi lasciato senza nastro e senza corde e ritornerà a breve."

Aspettò di vederlo tornare indietro da un momento all'altro. Per almeno trenta minuti rimase immobile col fiato corto e il sudore sulla fronte che iniziava ad alimentare goccia a goccia quel piccolo seme di speranza che intanto iniziava a farsi strada tra rovi di disperazione e rami secchi di rassegnazione. Poi si accorse che quel germoglio di speranza in realtà era un ibrido e conteneva anche il DNA del coraggio e della rabbia. Il coraggio fiorì rigoglioso e fece da schermo alla rabbia che da sempre preferiva un terreno in penombra. Si alzò lentamente, come se si aspettasse di vederlo sbucare con quella sua testa taurina attraverso la botola da un momento all'altro. Tirò il filo della lampadina che illuminò con un cono di luce lo spazio intorno a lui. Si avvicinò a passi lentissimi e delicati verso l'uscita di quella soffitta fino ad arrivare intorno al perimetro della botola. Vedeva la luce solare proveniente dalla camera al piano di sotto filtrare attraverso le giunture che disegnavano il contorno del rettangolo intorno alla via d'uscita da quella soffitta. Si inginocchiò, sentendo mille aghi di acciaio nella gamba fratturata, poi appoggiò l'orecchio sinistro sul pavimento di legno ascoltando i battiti del suo cuore amplificati da quel tavolato umido e polveroso. Si sforzò di usare tutta la concentrazione di cui fosse capace per sentire qualsiasi rumore potesse provenire dal piano di sotto, ma non ebbe alcuna percezione uditiva. Per un istante sperò di sentire Stern al piano inferiore, per poter ritornare dov'era e rassegnarsi ad un'altra giornata da recluso senza dover correre il rischio di essere scoperto durante il suo tentativo di evasione. A volte la mente è strana, quando si desidera talmente tanto una cosa, poi si finisce con l'averne paura e si comincia a desiderare di non averla mai desiderata. Ma da sotto non veniva alcun rumore. La stanza era vuota. Non aveva scuse, doveva aprire la botola e tentare il tutto per tutto. Lo sportello di legno, che collegava la soffitta alla cameretta sottostante, aveva una maniglia che poteva essere usata da chi saliva, mentre per chi stava già in soffitta risultava esattamente a filo del pavimento. Cercò di infilare le dita nella fessura sottile che c'era tra il pavimento e l'apertura, provò più volte ma non riuscì a trovare lo spazio sufficiente per sollevarla. Non c'erano attrezzi nei paraggi che potessero essere usati come leva, ma di certo non avrebbe mandato tutto a monte solo perchè la sua via di fuga non era dotata di un'apposita maniglia, magari anche comoda al tatto ed intonata al pavimento. Gli venne un'idea. Iniziò a battere i pugni sulle tavole di legno del tavolato e vide che ad ogni colpo il coperchio di legno sobbalzava leggermente. Colpì sempre più forte le assi di legno intorno alla botola fino a quando questa si sollevò di un paio di centimetri per pochi centesimi di secondi sufficienti a fargli infilare le dita della mano sinistra sotto di essa. Sentì le nocche delle dita comprimersi sotto il peso del legno pesante, ma l'entusiasmo per la riuscita di quella prima parte dell'impresa non gli fece sentire alcun dolore, almeno sul momento.

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