Paragrafo 25. Sotto a chi tocca.

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Paragrafo 25

Sotto a chi tocca.

"Vieni Bill, giochiamo anche stasera."

Mentre veniva trascinato giù dalle scale di legno del soggiorno, Bill gettò un'occhiata di sfuggita all'orologio a parete accanto alla libreria. Segnava l'una circa. Provò a guardare in cucina se per caso ci fosse la madre di quel folle, per chiederle aiuto, ma non la trovò. Stern capì la sua intenzione e puntualizzò: "è inutile che cerchi l'aiuto di mia madre, sta dormendo, te l'ho detto che quando prende quelle pillole non si sveglia per almeno due giorni di seguito" e senza aggiungere altro strattonò il guinzaglio facendogli saltare goffamente gli ultimi due scalini. Dalla gamba partì una scarica di dolore gelido che gli attraversò tutto il corpo fino ad approdare al centro della testa, sotto l'ustione che ancora bruciava. Prima di uscire all'aperto, raccolse una borsa di tela accanto al divano, prese una torcia dal mobile sotto la libreria e gettò a Bill una coperta di tela consumata: "mettitela addosso, in questo gioco non c'è da correre, potresti avere molto freddo" e iniziò a ridere da solo.

Bill tremò al solo pensiero del gioco che il suo paziente squilibrato aveva preparato per lui. Era stanco di quella situazione e il suo istinto di sopravvivenza veniva eroso ora dopo ora dall'incertezza del suo futuro e dal dolore lacerante che martoriava il suo corpo senza tregua.

Come spesso capita in queste situazioni, cercò di aggrapparsi a qualsiasi cosa potesse motivarlo e incoraggiarlo, ma mentre scorrevano in carrellata le immagini delle cose a lui più care, come nell'anteprima di un film sullo schermo del cinema, fu buttato fuori nella neve dalle mani pesanti del suo custode. Una civetta disturbata dalla loro presenza in quel cortile, spiegò le sue ali verso un albero più distante e da qui li osservò con distacco degnandoli solo di un verso sommesso che Bill interpretò come un "in bocca al lupo" rivolto a lui.

Può sembrare strano, ma fu probabilmente l'incoraggiamento di quell'animale notturno a fargli scattare l'interruttore sulla modalità "resistenza".

Dopo dieci minuti di cammino in salita, Stern legò Bill ad un albero, poggiò a terra la torcia e iniziò a scavare nel terreno sotto la neve con una pala pieghevole estratta dalla borsa che aveva a tracolla. Quella notte non c'era la luna a rendere abbagliante la neve e l'unica fonte luminosa era il fascio di luce della torcia buttata sul terreno che a stento illuminava le scarpe di Stern e il metallo della pala che entrava e usciva dalla buca sempre più lentamente man mano che questa diventava più profonda. Bill iniziò a tremare per il freddo mentre il corpo di Stern, accaldato per la fatica, a contatto con l'aria gelida formava un alone di condensa intorno alla sagoma dell'uomo. Scavava con ritmo frenetico, senza sosta, come un giovane operaio ad inizio turno, ogni tanto si fermava per sputare il terreno che gli entrava in bocca irritandogli la gola. A volte si girava verso Bill solo per assicurarsi che stesse ancora lì legato all'albero dove lo aveva lasciato. In realtà se anche fosse stato libero di muoversi, Bill non sarebbe andato molto lontano, con una gamba rotta in mezzo al nulla e una sinfonia di dolori a intontirlo. Si trovò a chiedersi quale significato avesse voluto dare la natura al dolore, all'interno di un progetto così perfetto come quello dell'essere umano, poi guardò l'uomo che aveva di fronte intento a scavare la fossa ad un suo simile ed il suo concetto di perfezione della natura umana andò in frantumi.

Quando la buca fu più o meno delle dimensioni di quel piccolo esemplare di uomo, Stern si fermò a guardare soddisfatto il suo lavoro. Conficcò la pala in uno dei cumuli di terra che si erano formati intorno alla fossa e si sedette a prendere fiato sul ciglio della buca con le gambe appoggiate alla parete interna.

"Quanto sei alto Bill?"

Nessuna risposta.

"Bè, male che vada ti faccio a pezzi e ti ci metto dentro lo stesso" disse ed iniziò a ridere con una risata rumorosa e tragica.

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