Paragrafo 4. La musica.

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Paragrafo 4.

La musica.

Quando riaprì gli occhi, era quasi ora di pranzo.

Se non fosse stato per quel fastidioso rumore di fondo, avrebbe probabilmente dormito fino a sera. Cercò inizialmente di riaddormentarsi, tirandosi la coperta fin sopra la testa, ma il suo cervello ormai si era messo in moto e sembrava viaggiare in discesa, su fondo ghiacciato e senza freni.

"Buongiorno Stern, perdonami, ma non ho potuto fare a meno di usare il tritatutto. Visto il tempo, per pranzo ho pensato di fare un passato di verdure e del brodo vegetale. Che dici? Ti va? La radio ha detto che nevicherà per almeno altri due giorni."

"Sì mà, va bene il brodo, ma che ore sono?"

"Quasi l'una Stern, tra un po' si mangia."

"L'una..." ripetè quasi assente, poi in rapida sequenza gli apparvero delle immagini come dei flash in un tunnel buio: gli stracci della cucina, le gocce della sera prima, i boccoli rossi nella foto di Margareth e la moquette verde della sua camera da letto.

Fece uno scatto improvviso per quanto gli fosse consentito dalla sua mole ingombrante, urtò il tavolino del salone con un ginocchio, rovesciandolo insieme al flacone delle medicine e ad un posacenere vuoto di metallo e corse di sopra in camera sua con una violenza tale che quasi sradicò dai suoi attacchi la balaustra in legno di castano accanto alle scale. Percorse il corridoio scalzo, con passi pesanti ma veloci facendo rimbombare nella cucina sottostante dei tonfi cupi e furiosi dal ritmo ossessivo.

La signora Hutcher ascoltò con nervosismo crescente quei rumori che non presagivano niente di buono, rimpianse di aver sviluppato un udito così sensibile dopo l'incidente domestico che le era costato la vista e per attutire un po' l'angoscia di quei suoni, riaccese il tritatutto tenendo il pollice premuto sull'interruttore così forte da farselo diventare prima rosso e poi completamente bianco.

Quando intuì una parvenza di silenzio, prese il suo bastone guida e si spostò nel salone dove, come faceva sempre quando tutto intorno a lei stava per diventare insopportabile per i suoi fragili nervi, si sedette sulla sedia a dondolo di vimini e si lasciò andare con un vecchio disco di un'opera lirica italiana.

In tutta la stanza vibrarono potenti, attraverso le casse amplificate, le parole ormai dimenticate di un tenore d'altri tempi:

"Tutto quello che ci resta

è un ricordo di gran festa.

Nella stanza triste e sola

il mio cuore già si invola.

Se tu vuoi andare via

porta teco l'alma mia."

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