Paragrafo 8.
Disobbedienza.
"Stern, sai cosa stavo pensando?"
"No, mamma."
"Tra poco meno di un mese sarà il tuo compleanno, avevo pensato di farti un regalo, ma vorrei essere sicura che sia di tuo gradimento prima di comprarlo."
"Cosa mà?"
La signora Hutcher era titubante, non voleva rovinare l'effetto sorpresa al figlio, ma pensandoci su, si convinse che niente sarebbe stato peggio della reazione di quel quarantenne-bambino-psicopatico per un regalo non gradito. Da piccolo gli regalava spesso dei libri, all'inizio sinceramente intenzionata a farlo appassionare alla lettura, poi quasi sadicamente compiaciuta nel vederlo ogni volta indispettito e deluso all'apertura del pacco. A quei tempi era ancora fermamente convinta che le delusioni lo avrebbero reso più forte e meno indifeso nell'affrontare il mondo reale.
Ma quelli erano altri tempi, c'era ancora suo marito, il padre di Stern e il ragazzino era ancora facilmente gestibile nei suoi capricci.
Oggi che era alla soglia dei quaranta, in piena forma fisica e in pessima salute mentale, non sarebbe stato prudente rischiare qualcosa di molto brutto per il semplice piacere della sorpresa.
"Ricordi che da piccolo mi chiedevi spesso un cucciolo di husky?"
"Certo che me lo ricordo, tu e papà mi dicevate che però non era possibile per via dell'allergia, che ti avrebbe fatto starnutire in continuazione ed io volevo bene alla mia mamma, come gliene voglio ora."
"Sì, ma credo che con l'età sia sparita anche l'allergia... insieme a tante altre cose... potremmo andare in città uno di questi giorni e ordinarne uno da Pet&Home o come diavolo si chiama quel negozio gestito dall'indiano."
"Be', non so ma', forse dopo tutti questi anni mi è passata la voglia di prendermi cura di un cucciolo."
"...ora ho un adulto di cui occuparmi..." avrebbe voluto aggiungere, ma era troppo di buon umore e rispose ridendo: "forse preferirei un libro".
La signora Hutcher lasciò cadere le posate che stava sciacquando nel lavello e benchè completamente cieca, lo fissò con i suoi occhialini neri e rotondi senza dire una parola, facendogli pesare con il silenzio tutto il suo disappunto, proprio come aveva sempre fatto per tanti anni al suo minimo errore.
Per un istante pensò che quella battutina potesse essere l'indizio di una guarigione appena iniziata. Se Stern fosse guarito avrebbe cominciato a fare domande. Alle domande avrebbe in qualche modo trovato delle risposte e lei lo avrebbe inevitabilmente perso.
Morsicandosi il labbro inferiore fino a farsi male, si voltò di scatto e fece finta di niente. Si asciugò le mani, sedette a tavola accanto al figlio e come tutti i giorni cominciò: "grazie Signore per questo cibo che anche oggi..."
Al termine della preghiera attese qualche istante. Poi con tono stizzito: "Stern, non ho sentito "Amen", sono cieca ma non ancora sorda!"
Nessuna risposta.
Il tono diventò severo: "vorrà dire che il tuo pranzo lo conserveremo per la cena", aggiunse e allungò un braccio per portare via il piatto dal posto accanto al suo.
La reazione del figlio fu immediata. Più di quanto lui stesso si aspettasse.
Con una mano strinse il braccio sottile della madre all'altezza del polso e con l'altra il manico del boccale in vetro infrangibile con sopra il suo nome e la scritta i love Italy che stava sul tavolo vicino al tovagliolo. I nervi e i muscoli contratti al massimo, come la molla di una catapulta pronta a scattare. Era questione di attimi. Poi, provvidenzialmente, un rumore sordo dalla stanza di sopra gli fece allentare la presa ad entrambe le mani. Cacciò fuori l'aria dal naso come un toro che si prepara ad entrare nell'arena, prese il piatto che aveva davanti e salì in camera sua continuando a sbuffare per tutto il tragitto come una locomotiva in salita.
Mentre faceva le scale, sentì il piatto della madre che veniva scaraventato contro le mattonelle della cucina e un rumore di posate e bicchieri caduti sul pavimento. Non era una scena nuova per lui ma questa volta non si voltò nemmeno a guardare.
Quando arrivò davanti alla porta della sua camera, si fermò prima di far girare la chiave nella serratura. Era emozionato, quasi non gli sembrava vero che ci fosse qualcuno nella sua tana. Mentre posava la mano sul pomello graffiato di ottone, sentì il rumore dei cocci che finivano nella pattumiera al piano di sotto e subito dopo, le prime note di un'opera che lì per lì non riuscì ad indovinare.
Il povero Bill Stapleton lo vide entrare da una posizione molto scomoda. Infatti nel tentativo di liberarsi, aveva perso l'equilibrio ed era caduto di lato, tirandosi appresso anche la sedia. Sentiva dolori dappertutto, ormai era diventato un unico blocco di dolore all'interno del quale ogni tanto prendeva coscienza di qualche parte anatomica. Il suo carceriere posò il piatto che aveva in mano sulla cassapanca sotto alla finestra e si distese sul pavimento, proprio di fronte a lui. Pancia a terra e sguardo fisso nei suoi occhi terrorizzati.
"Non ci siamo Bill. No. Non ci siamo per niente."
Poi si alzò con fatica dal pavimento e ancora con l'affanno prese una matita e un foglio di carta dalla scrivania sulla parete alle spalle di Bill e si mise in ginocchio sulla moquette, appoggiando il foglio sulla cassapanca per poter scrivere meglio.
Stava per iniziare a farlo, quando sembrò quasi sorpreso di trovare il suo pasto lì sopra dove lui stesso lo aveva appoggiato pochi secondi prima. Allora mise da parte il foglio e la matita, una di quelle matite nuove ancora da temperare e iniziò a mangiare fissando l'esanime dott. Stapleton senza mai distogliere lo sguardo da lui per tutta la durata del pranzo. I dieci minuti che impiegò per buttare giù quella specie di spezzatino con patate, sembrarono un'infinità al suo ospite che ancora steso su un lato, legato alla sedia che gli premeva sul braccio bloccato tra il pavimento e il corpo, dovette più volte trattenere lo stimolo di vomitare, nonostante fosse digiuno ormai da più di una ventina di ore.
Cercò di ricordare dove avesse già sentito quella voce, ma quando ci pensava gli tornava più forte la nausea, poi ci rinunciò e si accorse, non senza imbarazzo, che per quel giorno, quello del vomito era stato l'unico istinto fisiologico che era riuscito a trattenere.
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La Casa di Legno
Mystery / ThrillerUn racconto a tinte scure, non adatto ai minori e ai soggetti particolarmente impressionabili. Una storia sospesa, con varie chiavi di lettura, in cui il confine tra il bene e il male è evanescente come il ricordo di un brutto sogno.