Paragrafo 33. Le mani.

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Paragrafo 33

Le mani.

Era quasi mezzogiorno e la luce di metà marzo si avviava ad assumere quel candido pallore tipico del periodo primaverile a quell'ora.

Le stesse mani che poche ore prima avevano accarezzato avidamente l'acciaio del revolver, nell'oscurità più totale della fredda stanza da letto, asciugarono le lacrime che dagli occhi scesero silenziose sul viso, comparendo quasi inaspettate oltre la montatura degli occhiali. Le dita nodose si poggiarono con reverente timore sul crocifisso di legno inchiodato alla parete sul letto. La stanza era imbevuta di angoscioso silenzio, l'aria era satura di disperazione, fino a che una preghiera appena sussurrata arrivò ad alleggerire il peso di quell'opprimente torpore, come la valvola di sfiato di una pentola a pressione sul punto di esplodere: "... ma liberaci dal male, Amen".

Quando la preghiera terminò, le mani si staccarono tremanti dal crocifisso e nel buio dell'armadio cercarono la vestaglia di lana, non quella solita, ma quella di una taglia più grande che non era mai stata indossata e che tuttavia era stata conservata perchè era il regalo di una persona cara, molto cara.

A differenza delle altre vestaglie, questa aveva delle tasche sui fianchi in cui, volendo, si ci poteva mettere di tutto, anche un revolver calibro 38 del peso di quasi due chili.

La indossò sopra a quella che già aveva, in modo da non dover subire alcun impaccio nei movimenti a causa delle pieghe del tessuto sovrabbondante. Così aderiva perfettamente alla sagoma del suo corpo senza lasciare pericolose pendenze di tessuto a limitare il suo incedere già titubante. Si fermò ancora una volta davanti alla finestra e l'aprì con l'ultimo residuo di speranza che l'aria pulita potesse rigenerare anche altro, oltre l'ambiente di quella stanza da letto. Non fu così.

La decisione che aveva preso da qualche giorno restò ancorata lì dove era nata e si era solidificata, nelle pieghe tortuose del suo cuore tra la ragione e l'ossessione.

La sua vita era un pianto antico, aveva contato i giorni goccia a goccia come lacrime inesplose.

Si strinse la cintura in vita e pensò che quel nodo rappresentasse degnamente il suo obbligo ad agire in quel modo. Non esistevano alternative. Passò almeno un'ora prima che uscisse da quella camera con la sua vestaglia nuova sulle spalle e l'arma carica in tasca.

Percorse con passo greve e silenzioso il corridoio ricoperto dalla morbida moquette colorata. Quando raggiunse la porta della stanza di fronte alla sua, appoggiò le mani alla porta che si aprì sotto il peso leggero della sua spinta, senza necessità di girare la maniglia che ormai non esisteva più. Erano anni che non metteva piede lì dentro e l'arrendevolezza dei cardini della porta sotto le sue mani provocò un leggero turbamento nella sua mente già tesa come il filo di un aquilone controvento. Aveva previsto un ingresso diverso, pensava di dover superare la resistenza almeno di una serratura, se non di una persona.

La signora Hutcher rimase immobile, sul limitare della soglia, con la porta spalancata davanti a sé.

Stern si girò di scatto, lasciando cadere sul pavimento il fornello incandescente che aveva tra le mani.

"Mamma!" fu l'unica cosa che riuscì a pensare e a dire, poi si interruppe e lasciò parlare lei per molto, molto tempo.

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