Paragrafo 36
L'errore.
Nella casa a trecento metri più in alto rispetto alla morbida distesa di aghi di pino su cui dormiva la famiglia Johnson, Stern era ancora immobile sul suo letto in stato di choc dopo la confessione della madre, Bill Stapleton gli faceva compagnia sull'amaca e la signora Hutcher, con la testa rivolta verso il basso, si stava infilando con impercettibile lentezza la mano destra nella tasca laterale della vestaglia. Era stremata dalla confessione appena terminata ed anche delusa. Si sarebbe aspettata di sentirsi più leggera, dopo essersi liberata del peso che portava dentro da anni, invece il senso di angoscia le era aumentato e sentiva, ora, di avere un problema in più.
Il tempo si era fermato, le pareti di quella stanza sembravano essersi allontanate all'infinito l'una dall'altra ed ognuno dei suoi occupanti stava facendo i conti con il proprio mondo.
Stern incominciò prima ad irrigidirsi e poi a tremare come una caldaia a vapore con la pressione fuori controllo pronta ad esplodere, i movimenti delle braccia e delle gambe sempre più frenetici e il colorito paonazzo. Bill era incollato con la schiena alla sua amaca e ci si sarebbe volentieri sprofondato lasciandosi inghiottire dalla sua fitta maglia a rete.
Aveva ancora le mani libere e le strinse ai bordi dell'amaca, come se si stesse preparando ad un giro folle su una giostra ad alto tasso di adrenalina. Le mascelle serrate e i denti stretti fino a fargli male.
La signora Hutcher immobile, come di piombo, sulla sedia di fronte a loro davanti alla parete tappezzata di foto di Margaret.
Solo un lieve movimento, quasi invisibile ma costante e deciso, quello della mano destra dalle ginocchia verso il fianco.
Nessuna parola, gli unici rumori erano quelli di assestamento del pavimento di legno, tipici di una vecchia casa di montagna dovuti all'umidità. Sembravano galleggiare tutti e tre, insieme alla casa, sospesi in una nuvola di follia più grande di loro.
Poi tutto precipitò all'improvviso.
La gelida canna di acciaio puntata in direzione di Bill Stapleton si lasciò attraversare dal proiettile incandescente che lasciò dietro di sé solo una scia di fumo e un odore acre di polvere da sparo. Bill e Stern restarono immobili guardando fissi le mani tremanti della donna di fronte a loro, avvolte intorno al manico di legno della calibro 38. Il bossolo di metallo si conficcò nella parete di legno alle spalle di Bill, facendo seguire al rumore metallico dell'esplosione, quello più ovattato del legno massiccio che viene penetrato. Bill che era il bersaglio mancato di quello sparo, si gettò sul pavimento coprendosi la testa con le mani. Stern invece, d'istinto si alzò dal letto e si gettò incontro alla madre che, fatalmente, non lo sentì arrivare nel momento in cui tirò a sé per la seconda volta il grilletto. Teneva le mani protese in avanti per bloccare la mamma, ma non ebbe il tempo di toccarla che il suo polmone sinistro fu attraversato da parte a parte dal potente calibro 38 che gli passò attraverso come un ago sotto il getto di un rubinetto. Si accasciò al suolo e le mani, con cui voleva disarmare la madre, non poterono fare altro che protendersi in un tentativo inutile di stringerle le caviglie ghiacciate alla fine della sua caduta.
Stern morì così.
Quasi sul colpo, con la bocca spalancata sulla moquette, le dita delle mani che meccanicamente si richiudevano a pochi centimetri dalle gambe di sua madre e gli occhi ancora sbarrati per lo sgomento di quanto gli era stato pocanzi rivelato. La donna non si era resa ancora conto di aver ucciso per errore il suo figlio speciale e scaricò gli altri quattro colpi che le restavano in giro per la stanza immaginando dove potesse essersi nascosto quel maledetto Bill. Uno distrusse la finestra, un altro rimbalzò sulla stufa di ghisa finendo per conficcarsi nel soffitto, il terzo attraversò il materasso trasversalmente non producendo alcun rumore ed il quarto, con le mani ormai stanche, fu esploso sul pavimento con la convinzione che i primi avessero già fatto il loro lavoro.
Dopo il rimbombo dell'ultimo sparo, calò di nuovo quel silenzio surreale sulla camera impregnata di odore di bruciato, nonostante la finestra rotta iniziasse a far circolare un'aria fredda ed umida.
"Stern, vieni, abbracciami. Ci siamo tolti un pensiero. Ora devi aiutarmi a pulire, sono vecchia ormai."
La donna si sedette ai piedi del letto e aspettò invano la risposta del figlio.
"Stern, è stato tutto per il tuo bene. Vieni qui, facciamo sparire quell'estraneo e ricominciamo tutto daccapo."
La donna restò ferma ad aspettare ed ogni secondo che passava scavava un solco profondo nelle sue certezze intorno ad un dubbio atroce che le stava nascendo. Il suo udito era stato affinato da anni di cecità ed ora sentiva nella stanza un respiro concitato e sincopato. Ci mise poco a capire che non era quello di Stern. Quando Bill cominciò a singhiozzare per il terrore, la donna ebbe la certezza che il sangue versato, il cui odore ferroso iniziava a stagnare in quell'ambiente chiuso, apparteneva senza alcun dubbio a Stern. Sangue del suo sangue. Allora non ebbe nessuna esitazione, si alzò dal letto ed andò in cerca del cadavere del figlio, che lei stessa aveva ucciso in un eccesso di amore materno malato, tastò con i piedi palmo a palmo i pochi centimetri della moquette davanti al letto fino a quando lo trovò. La sua scarpa di cuoio nera scivolò sul sangue viscoso, per lei invisibile, che si era accumulato sul pavimento all'altezza del fianco dell'uomo. Capì e subito la ritrasse con timore reverenziale.
... non si profanano i morti... casomai si uccidono i vivi...
Impazzì all'istante per il dolore, come se una scarica da 220 volt le avesse fuso tutte le parti sane del cervello, lasciando intatti solo i centri sensoriali dedicati alle emozioni e alle sensazioni negative. Senza alcuna esitazione, estrasse il revolver che aveva riposto nella tasca della vestaglia, quasi fosse una cosa abituale per lei andare in giro per casa ad ammazzare gli intrusi e se lo puntò al centro della fronte. Non volle neanche godersi l'ultimo respiro, che persino il suicida più deciso si concede come ultima chance di ripensamento.
Schiacciò a fondo l'indice sulla fredda linguetta di metallo sotto il tamburo della pistola ma ne ottenne solo un secco e debole clic.
I proiettili erano finiti e fu solo allora che iniziò a piangere. Abbassò la testa sul petto, si lasciò cadere sul pavimento, strinse la mano ancora tiepida del figlio e non parlò più.
Mai più.
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La Casa di Legno
Misterio / SuspensoUn racconto a tinte scure, non adatto ai minori e ai soggetti particolarmente impressionabili. Una storia sospesa, con varie chiavi di lettura, in cui il confine tra il bene e il male è evanescente come il ricordo di un brutto sogno.