Paragrafo 5. Il Benvenuto.

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Paragrafo 5.

Il benvenuto.

Intanto di sopra Stern stava aiutando, alla sua maniera, il suo ospite a smaltire gli effetti del sedativo con cui lo aveva imbottito la sera precedente. Non gli era stato difficile iniettare i cinquanta ml di medicinale in quel corpo inerte che giaceva tramortito, tra le carte gettate all'aria e le sbavature di sangue, sull'elegante parquet del suo studio. La colluttazione era stata più che altro una formalità, come tutti i tentativi di difesa di quell'esile uomo con gli occhiali contro il gigante dal viso deforme.

Se lo ricordava ancora il senso di onnipotenza provato la sera prima, con cui aveva professionalmente aspirato il Mectopropil dal flacone con l'ago sterile per poi farlo andare in circolo nel corpo ormai esanime di Bill. Dopo qualche minuto l'uomo aveva perso completamente conoscenza e per un istante Stern lo aveva addirittura invidiato, prima di impacchettarlo e caricarselo in auto.

Ora, con la sua massa di grasso ingombrante e i capelli arruffati dopo la notte trascorsa sul divano nel salone, copriva quasi interamente la finestra tanto da apparire come una sagoma informe dal contorno luminoso.

Lo stava colpendo con uno di quei bracci metallici telescopici che si usano per prendere dagli armadi i vestiti appesi troppo in alto, come il gatto che con la zampa smuove il topo con cui ha giocato troppo violentemente, per controllare se è ancora vivo o finge. Non che gli interessasse del topo, soltanto dei suoi scopi, ovviamente.

"Svegliati dottore! Svegliati dottore!"

Al quarto o quinto tentativo, l'uomo steso sulla moquette a cui apparteneva quel corpo mal ridotto, cercò di aprire entrambi gli occhi, ma dovette accontentarsi solo del destro.

Il sinistro non trovò lo spazio materiale per schiudersi tra l'orbita gonfia e l'arcata sopraccigliare tumefatta. Di fronte a sé vide quella massa informe di carne e capelli, controluce e in modo sfocato.

L'occhio stava per richiudersi istintivamente come per resettare la visione e rifare un nuovo tentativo di risveglio, sperando che andasse meglio. Ma purtroppo non ci riuscì perchè si sentì chiamare per nome da una voce che gli sembrava di aver già sentito. Allora cercò di restare sveglio, concentrandosi sul dolore che sentiva arrivare gradualmente da ogni angolo del suo corpo.

Sentiva quella voce ripetere "...dottore, dottore, dottore...", provò a rispondere, ancora convinto che fosse solo un brutto incubo, ma si accorse che la sensazione di gelo sulle labbra, che iniziava ad avvertire, era dovuta al nastro adesivo che gliele teneva bloccate chissà da quante ore ormai.

Si sentì sollevare di peso ed istintivamente cercò di muovere le braccia per recuperare l'equilibrio, ma per quanto si sforzasse non riusciva nemmeno ad allontanarle dal busto.

Erano completamente immobilizzate dalla stessa corda che gli teneva bloccati i piedi e che risalendo dietro la schiena gli si stringeva intorno al collo sottile e delicato.

Stern lo mise a sedere sulla sedia di legno con i braccioli imbottiti che stava in camera e gli tenne le sue mani pesanti premute sulle esili spalle guardandolo in silenzio, come un animale affamato che annusa la preda per sapere quanto possa essere pericolosa prima di attaccarla.

Gli si avvicinò per essere sicuro che quell'uomo potesse sentirlo anche senza volerlo e ancora affannato per la corsa recente su per le scale, quasi ansimando gli sussurrò col fiato pesante: "benvenuto Bill".

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