Paragrafo 28
Bentornato.
Alla fine della discesa, come un miraggio fuori posto, si intravedeva la casa degli Hutcher che Stern raggiunse con andatura cadenzata e Bill in spalla a fargli compagnia con i suoi rantoli e i suoi lamenti soffocati. Quell'energumeno sembrava avere la testa altrove (ammesso che ce l'avesse una testa), almeno fino a quando non arrivò nel cortile davanti casa da cui, attraverso i vetri del soggiorno, si poteva guardare all'interno dell'abitazione fino alla cucina.
La luce delle prime ore del mattino era ancora debole ma abbastanza chiara da fargli vedere che davanti ai fornelli, intenta a preparargli la colazione, c'era sua madre.
Ora era lui ad avere un problema. Un problema serio.
Preso dal panico scaraventò Bill sulla neve in cortile e la prima cosa che gli venne da fare d'istinto, fu mettere il nastro al suo compagno di giochi notturni. Per l'ennesima volta le labbra del dottor Stapleton furono unite una all'altra con il solito sistema barbaro ma quanto mai efficace.
Poi, senza una strategia particolarmente elaborata entrò in casa, accolto dal sottofondo di un pianoforte a basso volume che con il suo battere delicato e avvolgente riscaldava l'ambiente con un caldo soffio di serenità, inaspettato e fuori luogo.
Era Bach con la sua sinfonia n. 9, ma lui non lo sapeva, né gli sarebbe interessato saperlo. La signora Hutcher stava frullando la solita frutta nel suo tritatutto anni novanta.
"la frutta fa bene Stern, mangiane tanta e crescerai più forte di tutti gli altri bimbi... se la mangi tutti i giorni da grande non dovrai più prendere le gocce... vedrai..."
Era convinta, come molte massaie della sua età, che gli elettrodomestici costruiti in quel periodo fossero imbattibili ed insostituibili e perciò paradossalmente ne aveva cura come se fossero delicati oggetti in porcellana.
Stern tentò il colpaccio imboccando con passo felpato le scale che portavano di sopra, ma sua madre spense il frullatore che si era riscaldato troppo proprio in quel momento e sentì il primo gradino scricchiolare.
"Stern, sei tu?"
"Si mamma, ci siamo solo noi qui, chi vuoi che sia?"
"Ero convinta che stessi ancora dormendo, dove sei stato?"
"Mi sono alzato presto e sono sceso a vedere se il vento stanotte ha fatto danni in cortile, ma è tutto ok."
"Stern..."
Non rispose e salì in camera sua portandosi Bill in spalla.
"Stern..." sussurrò questa volta tra le labbra sua madre, mentre azionava nuovamente il tritatutto che intanto si era raffreddato.
"Stern..." continuò a ripetere per molto tempo ancora la signora Hutcher, come un mantra o come un'invocazione piuttosto. Ma ormai lui si era chiuso la porta della sua camera alle spalle e non poteva sentire più nulla, se non il debole rintocco delle note più acute del pianoforte che uscivano dall'impianto giù in soggiorno. Una partitura antica, dal fraseggio corale e profetico.
Decise che Bill avrebbe riposato in camera con lui e non in soffitta, forse si era spaventato per le sue condizioni o forse era solo esausto e non ce la faceva a portarlo di sopra dovendo affrontare un'altra scala ripida, per cui lo legò all'amaca e lo coprì con il piumone che tirò via dal suo letto. Accese la stufa e si ci mise vicino, fissando il paesaggio innevato fuori dalla finestra distorto dagli sbuffi di aria calda che timidamente iniziavano ad uscire dal camino di alluminio della stufa arrugginita.
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La Casa di Legno
Mystery / ThrillerUn racconto a tinte scure, non adatto ai minori e ai soggetti particolarmente impressionabili. Una storia sospesa, con varie chiavi di lettura, in cui il confine tra il bene e il male è evanescente come il ricordo di un brutto sogno.