27.Bianco neve

1.6K 88 24
                                    

KATHLYN
Vancouver, 23 dicembre

SECONDO GOOGLE, per instaurare davvero un'abitudine occorrono come minimo trenta giorni.
Un mese di tempo e quel piccolo dettaglio della tua vita sarebbe potuto diventato una costante.

A me però, non era servito tutto quel tempo per far sì che Evan diventasse la mia quotidianità.
Erano passate due esatte settimane dalla festa del suo compleanno e nell'arco di quei giorni, la mia vita si era trasformata radicalmente.

Come se quello che fossi stata prima non fosse mai veramente esistito; come se i vent'anni trascorsi con la mia vera famiglia non fossero stati degni di essere nemmeno ricordati.

Avevo stravolto la mia intera esistenza e quando mi fermavo a pensarci, mi rendevo conto di non star soffocando.
Non sentivo il panico crescere, non sentivo il respiro pensante e nemmeno il cuore battere all'impazzata.

Non ero più la marionetta di nessuno e per quanto la consapevolezza di ciò fosse elettrizzante, molte volte mi rendevo conto di non saper vivere autonomamente nel mio stesso mondo.

Come avrei potuto se la mia quotidianità non era stata altro che un programmo rigido e prestabilito da persone esterne?

Svegliarmi in un letto non mio, provare a mangiare qualcosa che non fosse stato scritto nel mio piano alimentare (che conoscevo a memoria, grammo per grammo) risultavano dettagli gratificanti ma allo stesso tempo spaventosi.

Ero paralizzata dalla paura, ma preferivo quella sensazione alla continua fame, al controllo o alla pressione che le mie spalle avevano dovuto sopportare ogni volta che incrociavo lo sguardo di mia madre.

Con Evan era diverso; la sua sveglia suonava alle sette del mattino ma quando aprivo gli occhi lui si rigirava nel mio lato di letto, mi posava un casto bacio sulle labbra per poi sussurrarmi all'orecchio di tornare a dormire.
Non ero obbligata ad infilarmi un paio di pantaloni ed uscire per andare in palestra.

Il frigorifero era stato riempito di ogni sorta di cibo. Il solo aver accennato allo yogurt greco aveva fatto sì che il giorno seguente ne comparissero due enormi contenitori.
E quando avevo domandato all'uomo mangio solo latte e cereali perché di quel cambiamento radicale, lui si era limitato a rispondermi "Voglio che tu ti senta a casa".

Era lui la mia nuova casa.

Non ero più scortata dalla sicurezza, non ero più obbligata a frequentare posti studiati appositamente per far sì che io e Madison comparissimo sui giornali di cronaca mondana.

Se volevo prendere una metro,
potevo farlo.
Se volevo mangiare cibo cinese a China Town, potevo farlo.
Se volevo andarmene a Central Park, potevo farlo.

E la cosa più bella delle ultime due settimane erano state proprio le nuove abitudini; non più solo mie, ma nostre.

Ordinare la pizza il venerdì sera e mangiarne sempre un pezzo in più rispetto la volta precedente.
Uscire a camminare insieme a Dug, stringermi al fianco di Evan mentre il guinzaglio si tendeva per la forza che il cane esercitava.
Fare l'amore ovunque e in ogni momento.

Evan era dovuto partire una settimana prima per il ritiro invernale e il silenzio che aveva avvolto l'appartamento da allora mi aveva quasi fatto impazzire.

Avevo assaggiato troppo della nostra vita insieme per poterci mai rinunciare.

Succederà, prima o poi.

Avevo nascosto la lettera dell'avvocato tra i miei vestiti, ignorando ancora una volta tutto quello che riguardava la mia precedente situazione.
Una sola settimana. Meritavo un vero Natale prima che la causa innescata da me stessa nei confronti di mia madre partisse.

BLACK LIES Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora