39.Capitano

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EVAN
New York, 10 settembre

QUATTRO MESI DOPO...

«Guardate un po' chi c'è!»
Luke fece un ridicolo inchino alla mia entrata, scatenando la risata di tutti i presenti.

«Il capitano ci onora della sua presenza dopo quasi un mese passato a divertirsi tra i camerini del Moulin Rouge!»

«Sento odore di invidia, Wilson»
Lo sorpassai con il più perfido dei sorrisi ritratto in volto, appoggiando il mio borsone da gioco.
I suoi occhi erano su di me, proprio come quelli dei miei nuovi compagni.

Era tutto così strano, cazzo.
David si era trasferito a Boston, Knight aveva annunciato il ritiro dal campionato e Simon aveva deciso di terminare l'ultimo anno da atleta professionista nella sua prima squadra in California.

Oltre qualche faccia conosciuta, all'interno dei Nets eravamo rimasti solo Luke, Alec ed io.
Tutti gli altri mocciosetti non erano altro che pupilli freschi di borse di studio e scalpitanti di gloria.

Andava bene così.

Non mi sarei tirato indietro davanti una sfida del genere; ora che avevo la fiducia di tutti sulle mie spalle, non avrei potuto commettere un solo passo falso.

«Bello rivederti capitano!
Sembra quasi tu abbia superato la paura di abbandonare il letto di Kat»
Solo allora comparve Alec, stringendomi le spalle per poi ricadere sulla seduta dello spogliatoio

Le cuffie gli pendevano intorno al collo, mentre il cellulare se ne stava disperso in qualche tasca del borsone.

Aveva detto bene; sembra.
Le sei ore di fuso orario avevano già iniziato a starmi strette.
Poterla sentire solo attraverso un cellulare dopo aver trascorso un mese intero al suo fianco mi stava uccidendo.

Il letto era troppo grande per una sola persona.
Il suo yogurt sarebbe andato a male dentro il frigorifero e Dug non avrebbe più indossato fiocchi colorati abbinati ai collari che solo lei gli comprava.

Ero nato come un gatto randagio, ma mi ero trasformato in un cagnolino scodinzolante ed ossessionato dalla sua stessa padrona.

«Ognuno ha i propri doveri. Chi si sarebbe preso cura di te se fossi rimasto laggiù?»

«O Capitano, mio capitano!»
Con una mano sulla tempia, Alec si issò sulla seduta, sorridendomi sornione.

Un coro di risate si alzò alla sua performance, facendomi sprofondare nella mia postazione.

«Mi sorprende anche solo il fatto che tu sappia l'inizio della poesia»

«Perché? Non era un film?»
Lo obbligai a scendere, giusto in tempo per l'entrata del coach.
Dawson non era cambiato di una virgola; come se fosse stato ibernato a inizio agosto con ancora la divisa dell'Adidas addosso.

«Se solo non mi fossi così utile, ti prenderei a calci fino alla scuola di mia figlia, North»

«Buongiorno anche a lei, boss»
Con un'occhiata glaciale il coach lo rimise a posto, cominciando ad elencare le strategie dell'allenamento.

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