11.Quella donna

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KATHLYN
New York, 13 novembre

«STO BENE, PAPÀ» constatai, fissando silenziosa il mio riflesso nello specchio del camerino.

«È il secondo appuntamento che rimandi, devi prendere seriamente questa cosa. La dottoressa ha parlato chiaro»

«Le prossime due settimane saranno impegnative, ti prometto che richiamerò la clinica»

«Almeno ti sei pesata?»

Ingoiai la mia stessa saliva, cercando di mantenere la voce salda e sicura.
«Si papà, non ho perso nemmeno un grammo»

Bugia. Era passata quasi una settimana dall'ultimo controllo e la bilancia non avevo nemmeno osato guardarla.
Tra shooting, passerelle e mia madre, il cibo si era rivelato solo un problema aggiuntivo.

La dottoressa Martin mi aveva pregato di chiamarla in caso avessi avuto dubbi, attacchi di panico o pensieri autodistruttivi.
Avevo avuto tutte e tre le cose eppure non mi ero azzardata a comporre il suo numero.

Dopo aver affrontato l'appuntamento e l'inconveniente in discoteca, mi ero rinchiusa nel mio guscio.
Durante il giorno non toccavo cibo, la notte divoravo l'interno frigorifero.
La mattina, con i crampi allo stomaco e le lacrime agli occhi, rimettevo tutto nel bagno della mia stanza.

Mi vennero i brividi ripensando al grado di impotenza e debolezza provato in quella discoteca.
Non doveva più succedere, non vicino ad Evan almeno.

«Hai mangiato regolarmente e pasti abbondanti? Tua madre ti sta dando da mangiare, dannazione?!»

«Ti prego papà, io sto bene, non aggraviamo la situazione»

«Ho portato tua madre in tribunale per molto meno Kathlyn! Ti sta distruggendo come ha fatto con Mads»

Lo so avrei voluto dirgli, eppure rimasi in silenzio.

«Ho scritto a Madison di portarti un panino o un pasto che superi almeno le duecento chilocalorie... non mi ha nemmeno risposto» Sentii la sua voce farsi debole e insicura. Madison, dopo il divorzio dei nostri genitori, si era apertamente schierata dalla parte di mamma, dimenticando papà, le sue chiamate e la sua esistenza.

Io avrei davvero voluto stare con lui ma la mia giovane età, il suo lavoro e i continui viaggi avevano spinto il giudice ad affidare le due sorelle alla signora Hall.
Niente papà, se non durante le feste e gli incontri organizzati.

«Ti voglio bene, vedrai che andrà tutto per il meglio»

«Anche io principessa, sei stata spettacolare l'altro ieri» arrossii «e non pensare che non ti abbia visto in prima pagina con Evan Walker... ne riparleremo»

Cercai di ridere, consapevole della confusione all'interno della mia testa.
Stavo mentendo a tutti, me stessa in primis.

Mi ero ritrovata appoggiata al bancone della cucina -avvolta ancora nella maglietta con il suo numero- intenta a divorare minuto dopo minuto tutti i post nella quale compariva il bacio mio e di Evan allo stadio.
Quello che mi aveva regalato senza preavviso, correndo da me come se non vedesse l'ora di toccarmi. Come se gli appartenessi veramente.

Rimisi in borsa il cellulare, concentrandomi di nuovo sul mio riflesso allo specchio.
Dietro di me alcune modelle sfrecciavano agitate da una parte all'altra, ansiose di salire in passerella.
Nessuno mi stava guardando eppure continuai a sentirmi osservata. Una presenza ingombrante a incombere sulle mie spalle.

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