24.Verità rubate

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EVAN
New York, 08 dicembre

UN SILENZIO ASSORDANTE, centinaia di occhi ed altrettante macchine fotografiche intente ad immortalare la mia figura.

Dentro il completo procuratomi da Manson non respiravo. Il tessuto stringeva come una camicia di forza, il colletto iniziava a soffocarmi e le nocche delle mani erano diventate bianche dallo sforzo.
Secondo il mio credo, i completi eleganti erano riservati ai cadaveri ma in quel momento il colorito del mio volto ricordava uno di essi, ne ero sicuro.

Mettete un ragazzino di quasi venticinque anni davanti giornalisti e fotografi, dategli in mano un microfono e lasciate che quest'ultimo, con un diploma di scuola superiore ottenuto con due anni di ritardo, vi intrattenga con un monologo sulla sua vita di merda.

Parole e verità che sarebbero state riportare in maniera indelebile su siti internet e giornali.

Ero abituato alle conferenze stampa, ero abituato a pronunciare informazioni sportive che solo i fan più sfegatati sarebbero riusciti a decifrare.
Mi ero abituato a sorridere per la calca, recitando la parte dello sportivo tanto bello quanto ricco.

Quella parte di me, piccola e falsa, era la sagoma di Evan Walker che tutti si erano sempre abituati a vedere.
Ora, davanti la rassegna stampa, non c'era altro che Evan, il figlio di qualcuno e un uomo qualunque tra i tanti.

Tossì leggermente, stritolando tra le mani la bottiglietta di plastica.

«Molti di voi mi conosceranno per la carriera nel mondo dello sport, altri per le pubblicità Nike ed altri ancora per essere stato paparazzato insieme a qualche ragazza in un locale» non guardai nessuno, tenendo lo sguardo fisso verso la porta infondo alla sala.

«In questi anni si è parlato molto del mio conto, sono uscite storie da ogni dove ed io le ho prontamente ignorate. Verità o bugie? Ero dell'idea che alla gente non dovesse interessare così tanto la vita altrui ed ero felice di starmene nel mio angolino. Io conoscevo la mia verità, questo non poteva bastare?»

Una donna munita di cartellino identificativo e microfono si alzò di scatto dalla seduta, interrompendo il mio monologo.

«Signor Walker, perché questo discorso proprio ora? La stagione sta giungendo al termine e i risultati della squadra sembrano ottimi. Non crede che questo intervento possa solo sollevare un polverone mediatico inutile?»

Deglutii, rigirando gli anelli tra le dita.

«Vede, il polverone mediatico -come lo definisce lei- è sempre esistito. Non si è mai smesso di parlare del sottoscritto; sia che ci si riferisse alla giornalista Savannah Bailey o che si parlasse del mio allegro albero genealogico.
Tutto quello che veniva detto mi andava bene perché riguardava solo me e non andava ad intaccare la vita di altre persone.
Ora però, tutto ciò si sta riversando sulla persona che amo e questo, signorina...»

«Hunter»

«Signorina Hunter, non mi va più bene»

«Ci sta dicendo che se non fosse stato per questa presunta donna, lei non avrebbe mai rivelato queste informazioni?»

«Forse l'avrei fatto, forse no. Non crede che ognuno di noi abbia il diritto di raccontare la propria storia quanto e come vuole?»

«Certo ma...»

«Non c'è un ma. Ognuno deve godere del diritto di scelta, privare una persona della propria storia è come privarla della sua identità. Tutto per cosa? Per uno zero in più a fine mese? Per una condivisione o per un like?»

«Signor Walker» questa volta fu un uomo ad alzarsi, prendendo parola «Lei afferma che è qui per svelarci la verità; questo vuol dire che tutte le notizie uscite in suo merito erano fasulle?»

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